Cronaca semi – seria (più “seria” che “semi”) di una malattia

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Cronaca semi – seria (più “seria” che “semi”) di una malattia

Di storie attorno alla pandemia se ne sono raccontate tante.
Ma sono molte di più quelle che sono rimaste nascoste.
Grazie a Laura Cerri per raccontarci, qui, la sua

Tutta colpa del Re Lear

In fondo, è stata tutta colpa del Re Lear, tragedia scespiriana che ha inaugurato la prosa al Donizetti rimesso a nuovo dopo anni di lavori. Era davvero grande la curiosità – mia e di mio marito – di vedere il teatro finalmente ristrutturato e di tornare a goderci le rappresentazioni, noi che ne siamo appassionati.  E poi, a calcare le scene  Glauco Mauri, con i suoi 91 anni, incredibilmente portati!

Comunque, tre ore di spettacolo bello ma abbastanza pesantuccio, diciamo la verità, anche se Shakespeare… beh, non lo si può toccare, per carità!

Fattostà, però, che noi “vecchietti”, abituati ormai al comodo divano di casa davanti alla televisione durante il lockdown , e frastornati da – nell’ordine: esibizione del green pass, presentazione del biglietto, sanificazione delle mani, mascherina (rigorosamente ffp2) da indossare, ricerca del posto a sedere, entrata da una parte  del teatro e uscita dall’altra… siamo entrati in confusione.

Così, a spettacolo ultimato e usciti dal Donizetti, ci siamo persi! Neanche fossimo – e non so perché mi è venuto in mente e spero mi si passi questo paragone  inappropriato, irriguardoso e forse anche un po’ blasfemo – Maria e Giuseppe alla ricerca del ragazzino Gesù… Insomma, io sono andata verso l’automobile, parcheggiata tra l’altro piuttosto lontano, mentre mio marito è tornato verso il teatro. Dopo una ventina di minuti passati al freddo di una notte gelida e umida, sentendomi l’anziana, sola soletta e alquanto smarrita, minacciata da certi brutti ceffi (così almeno mi sono sembrati alcuni innocui ragazzotti che passavano)  in una strada ormai deserta, a uno di noi due (lui) è venuta in mente la cosa più ovvia: chiamarci al cellulare! Ci siamo finalmente ritrovati, ma ormai il danno – almeno per me – era fatto.

Già quella stessa sera infatti, e poi nei giorni seguenti, dolori, doloretti, dolorini mi hanno tormentato in tutto il corpo e specialmente nella schiena e sulle spalle, ma ci sono abituata, dopo anni di artrosi, e non ci ho fatto molto caso.

Siamo così arrivati, dopo pochi giorni, alla famosa dose booster del vaccino (Moderna): non l’avessi mai fatto! Ho segnalato il mio stato a chi mi vaccinava, ma niente – figurarsi! Il medico si è limitato a chiedermi com’era lo spettacolo e poi… Una bella iniezione alla garibaldina corredata da un’altra antiinfluenzale, e via di corsa, che c’erano altre duecento persone in attesa… Il siero così inoculato mi ha aggredito le ghiandole linfatiche e il sistema immunitario, acutizzando ciò che già avevo e in più (novità rivelata dall’EMA recentemente) mi ha “regalato” un serio e raro effetto collaterale consistente in una fortissima infiammazione con gonfiore di mani e piedi.

La partenza della malattia è stata però soft (vabbe’, non riuscivo a entrare negli stivali e le mani erano un po’ dolenti, ma ci vuol altro…) e mi ha comunque permesso di passare serenamente le feste natalizie pur con qualche disturbo.

Ma poi le cose sono drasticamente peggiorate…

Il buio

Mi sveglio infatti una mattina  e non riesco nemmeno a scostare le lenzuola (non parliamone del piumone!) per il  dolore, davvero atroce, alle mani. Dai polsi in giù, sono una sorta di tronco rigido: un piede, più gonfio dell’altro, sembra uno zampone, di quelli che si mangiano con le lenticchie a Capodanno. Le mani sono un disastro, persino ginocchia e polpacci sono duri e dolenti. Non so se riuscirò ad alzarmi e a stare sulle gambe, mi devo puntellare sui gomiti per scendere dal letto, con la paura di cadere, inoltre non riesco, una volta in piedi, a fare le cose più semplici: alzare la tapparella, infilarmi i collant, togliere dalla testa la giacca del pigiama, pettinarmi, tenere in mano il cucchiaio della colazione…

Camminare? Tre passi, spossata come se stessi facendo la traversata del Sahara, e mi sorpassa una lumaca. A questo si aggiunga il fiato corto, un senso di generale malessere, nessun appetito, bocca secca e amara. (In quaranta giorni perdo cinque chili: non male, in tempi normali, ma all’epoca lo interpreto come segno nefasto). Il medico di base, nuovo, che non mi conosce, non capisce niente e, pur non avendomi mai provato la pressione e mai guardato il piede-zampone, mi cura per un mese per ipertensione, nonostante le mie deboli proteste.

Insomma, uno sfacelo che non accetto: ma come, un tale disastro così all’improvviso?

Piango come una fontana (non sapevo di avere le lacrime in tasca!), mi prende un senso di tremenda depressione, penso di non farcela, addirittura, in certi momenti,  di stare in qualche modo morendo e del resto non voglio più vivere così. Anche se mi dispiace per la mia famiglia.

La famiglia e gli amici

Ecco, la mia famiglia. Partiamo dai figli: il maggiore, che da anni non vive più con noi ma con la sua compagna, telefona quasi tutte le sere, anche a nome della sua ragazza: incoraggiante, positivo, comprensivo ma in fondo ottimista, ho l’impressione che ogni volta mi dia – virtualmente – una bella pacca sulla spalla, e via… Consiglia il movimento, ritenuto davvero una panacea: ma come faccio con le gambe che sono due pezzi di legno? Il figlio minore invece, che vive ancora con noi, mi chiede come sto ogni 5 minuti, nella speranza di un miglioramento subitaneo. E’ molto sensibile e cerco di non spaventarlo, tanto che va dicendo – a chi glielo chiede – che sto “benino”. Anche se non è affatto vero.

E infine, il compagno della mia vita. Lo sapevo – me l’aveva detto ancor prima che ci sposassimo – che se qualcuno non sta bene lui – come dire? – ne è un po’ disturbato, insomma, non è il massimo… In caso di problemi di salute. E infatti… ai miei pianti mi scuote, dicendomi di reagire, persino cercando di convincermi , con tono dolce e flautato, ad accettare che siamo vecchi, (è vero: ho appena raggiunto la boa dei tre quarti di secolo, ma insomma… non ho ancora 90 anni!), che ormai arrivano gli acciacchi, le malattie senili. Che per alzarmi dovrò fare per sempre tutte quelle manfrine, che avrò tutta la vita male alle mani e alle gambe… eccetera eccetera.  Certo che mi consola! Invece di prendermi la mano e starmi vicino – come vorrei – a volte addirittura sbuffa sottovoce (ma io lo sento!) e lascia la stanza dove sto piangendo.

Capisco comunque che non rendo a nessuno le cose facili, che l’ho proprio presa malissimo. Ma davvero è più forte di me.

Ma per fortuna ci sono le amiche! Quelle tre o quattro, fidatissime, a cui l’ho confidato sono care, carinissime. Telefonate tutti i giorni e incoraggiamenti, messaggini e inviti si sprecano. Ma io non ho voglia di niente. Buio totale.

Io e Dio: la preghiera

Di Dio, invece, sì, ne ho “voglia”. Proprio io che sono una cristiana tiepida, fragile, con molti dubbi e poche certezze. Io che ho valori etici forse più laici che religiosi, che non mi faccio scrupoli, se è il caso, di criticare la Chiesa, io che più che una fede salda ho una speranza, soprattutto avvicinandomi,  per età, alla fine della vita.

Eppure, nel buio, intrappolata in un corpo malato, Dio l’ho cercato, eccome, confidando senza alcuna soggezione, anzi, con la fiducia di un figlio, nella sua pietà, nella sua immensa misericordia di Padre.

Non ho mai chiesto al Signore: perché a me? Sono convinta che il dolore faccia parte della vita e che le cose capitino, e basta. Se una ragione c’è, lo scopriremo forse dopo morti.

Un giorno una mia insegnante di Bibbia ci ha detto che lei a volte immagina Dio seduto tranquillo, che osserva le vicende umane ma non le provoca, rispettando il nostro libero arbitrio. (Questo potrebbe forse spiegare, ad esempio, la Shoah e adesso la guerra in Ucraina, ma è un discorso per me troppo difficile).

Insomma, una volontà divina che, mentre regola con leggi rigorose il corso delle stelle, lascia estrema libertà all’uomo.

Non ho mai pensato poi di avere una qualche colpa da scontare, né mai voluto discostarmi dal volere di Dio, ma cambiarlo, questo sì! Del resto, lo stesso Gesù – mi si passi ancora il paragone – non dice al Getsemani: “Se  possibile, passi da me questo calice”? E nel Vangelo non si legge la frase: ”Chiedete e vi sarà dato”?

Sempre grazie al corso biblico frequentato anni fa, so bene che tutta la nostra redenzione sta racchiusa in due fiat: quello della Madonna e quello di Gesù nell’orto degli Ulivi. E che a questi esempi dovremmo ispirarci, ma com’è difficile dire di sì! Un sì che confesso di non aver detto, mentre ho cercato, implorato, chiesto in ogni modo l’aiuto del Signore.

Non solo per la guarigione – in cui speravo, ma forse neanche troppo – ma per ogni minimo gesto che mi costava fatica: lavarmi, vestirmi, camminare, usare le posate… etc. Credo proprio di averlo stancato, il Signore, con invocazioni tutto il giorno.

E per rendere ancor più efficaci le mie preghiere, mi sono rivolta – in nome della comunione dei Santi – ai miei “morti”, che ogni giorno mi sorridono dalle loro cornici d’argento su un tavolino in camera mia: la mia mamma, bionda e bella, il mio papà, serio e buono, la mia zia, affezionatissima, e due amiche, per me quasi sorelle, che ho perso recentemente.

Sarà stata la loro intercessione?  Mi piace pensare di sì, perché ….

“La c’è la Provvidenza!” (di manzoniana memoria)

Finalmente, dopo 40 giorni, il medico nuovo si decide a farmi fare una serie di esami “giusti” da cui si evince che ho una fortissima infiammazione e da lì il gioco, per così dire, è fatto. Cerco un esperto, e lo trovo in tempi brevi, nonostante sia molto difficile, grazie a una serie di circostanze favorevoli, in cui vedo ancora l’aiuto del Signore e di quella famosa intercessione: una segretaria gentile, una conoscente che si rivela preziosissima, la grande disponibilità del professore stesso. Ho finalmente una diagnosi, una cura e… guarirò! Sia pure in tempi lunghi.

Tutto è cambiato. Mi sento subito meglio (effetto placebo?). Il mondo ha ripreso i suoi colori, che mi sembrano ancora più belli di prima, e la mia gratitudine verso Dio è grandissima.

E’ tornata la serenità in famiglia: mio marito, diventato – sia pure per pochi giorni – uno “zuccherino” per il sollievo, adesso mi chiama Lazzara (con chiaro riferimento al Lazzaro evangelico) e scherzando dice di aver in animo di appendermi, a mo’ di ingombrante ex-voto, in una cappella tra i vari cuoricini d’argento!

E – lasciatemelo dire  senza voler essere blasfema – tra i vari Santi a cui mi sono rivolta se n’è aggiunto ora un altro, piccolo piccolo e non proprio beato, né venerato, e che non ha il suo nome sul calendario, ma è un po’ anomalo, diverso, eppure a suo modo potente: san Cortisone, che mi terrà compagnia per parecchi mesi.

Vedi anche, sul tema della speranza, Dotti
Leggi un’altra esperienza, Perletti

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