Ciao Ivan, scusami mi è servito qualche giorno di silenzio. A settembre, prima di partire per Seriate, ti avevo promesso che per Natale o i primi giorni dell’anno sarei passato a trovarti. Mi ha commosso sapere da tua zia Ausilia che ti ricordavi di questa promessa e mi aspettavi. Invece sei partito, partito per il cielo. Sono venuto a trovarti ed eri bellissimo; senza respiratore, senza macchinari, libero, come se dormissi sereno. E sono partiti i ricordi.
Ti ho conosciuto la settimana prima di fare il mio ingresso da curato a Telgate, a settembre 2010. Ero prete novello di 26 anni e tu ne avevi 23. Ero venuto con don Luca, che sostituivo in oratorio e mi aveva accompagnato dagli ammalati che da quel giorno passavano dalla sua cura alla mia. Eri nel tuo letto e don Luca, scherzando, guardando prima te e poi me, disse: “Don Alberto stai attento che questo è juventino!!!”. Risposi, facendo sorridere la tua bellissima mamma Mirta: “Ahi, ahi… dai Ivan, spero di riuscire a convertirti all’Atalanta!”.
E lì iniziò una storia bellissima. Ogni mese circa, appuntamento prima dalla tua nonna, poi da te, con il copione che ormai conoscevamo a memoria: prima la preghiera, poi la comunione (finchè hai potuto farla nutrendoti dell’Eucarestia, poi spirituale) e infine via alla chiacchierata che spaziava dal calcio alle Ferrari, fino a Valentino Rossi e alle automobili di ogni tipo.
E ti ricordi quando parlavamo della tua casa a Fonteno? Sì, perché la tua famiglia accoglieva tutto il CRE di Telgate in quella casa e quel prato immenso e offriva la merenda a tutti. Chi sa stare con chi soffre impara la prossimità e ha il cuore spalancato per tutti, è sempre più evidente. E noi tutti abbiamo goduto dell’amore della tua famiglia; sono grato e commosso per questo, caro Ivan.
Quante ne hai passate, Ivan. La malattia di Duchenne, che ebbe tuo fratello, che hai dovuto salutare nel 2005 a soli vent’anni, era anche la tua. Non ho conosciuto Alex, ma la tua mamma sì. E mi ricordo come fosse ieri quando una volta non la vidi sorridere accanto al tuo letto mentre pregavamo; mi disse in disparte poco dopo che aveva un tumore, ma che avrebbe lottato per te e per papà. La vedo là, su quel divano con la flebo della chemio: “Arrivo don, lei vada da Ivan, conosce la strada”. È stata moglie e mamma splendida fino all’ultimo respiro. Non dimenticherò mai le sue ultime parole, che commossero l’allora parroco don Tarcisio, che le udì e me le riferì a tavola: “Sento che mi sto staccando dal mio corpo…”. Stava preparandosi a volare e a danzare, la tua mamma. Così andò da Alex in Paradiso pregando e confidando in Dio, con il pensiero di voi.
E rimaneste tu e papà. Sì, il tuo papà Giuseppe. Per me il tuo papà è stato, ed è, maestro di dignità: silenzioso, composto nel suo dolore, uomo di bontà straordinaria e capace di parole di conforto per tutti. Papà Giuseppe in questi anni ha vissuto per te, accompagnato dalla vostra bellissima famiglia, i tuoi zii e cugini, i tuoi amici che tenevi uniti con la musica e le feste. Era la tua gioia sentire la macchina di papà arrivare a casa, vero Ivan? Sai, io non sono stato capace di dirgli nulla quando sono venuto a trovarti, due giorni fa. Gli ho stretto la mano e ho pregato per te, con le parole che mi regala la Parola di Dio nella liturgia della Chiesa.
Penso a lui, caro Ivan… ora sua moglie, tu e Alex siete in Paradiso. Non so come possa sopportare tanto dolore e ti confesso che in questi casi anche la fede di un prete va in difficoltà. E sai chi mi ha aiutato a pregare senza rabbia? Tu, Ivan. Guardandoti, ho rivisto la tua vita che per tredici anni è stata per me un dono. Mai una lamentela, per te andava sempre tutto bene. Eri in quel letto ma andava sempre tutto bene… e guai se qualcuno non andava da qualche parte per stare lì con te. Ti arrabbiavi: “Vai, tu che puoi andare!”. E lì ho capito che anche se non ho spiegazioni per tanto dolore, tu ci hai insegnato la bellezza della vita. Sai, in Seminario lessi un libro per un esame: Solo l’amore è credibile, di Hans Urs Von Balthasar. Sostenni l’esame di teologia contemporanea il 2 aprile 2005, al mattino, mentre Giovanni Paolo II mostrava al mondo la verità di quell’affermazione che dava il titolo al libro del grande teologo svizzero. Quella sera il papa morì. Ecco, guardando a te, caro Ivan, io ridico a me stesso e ai tuoi cari che tu, Alex e mamma ci avete insegnato che solo l’amore è credibile e anche nella sofferenza vale la pena di credere che Dio è amore. Sarai tu ora a dare forza a papà, che non sarà mai solo e sono certo che la comunità di Telgate saprà custodirlo e sostenerlo insieme alla tua famiglia. Ora, con fatica, devo lasciarti andare, Ivan. Ti saluto, carissimo, come ho sempre fatto per tredici anni: “Ciao Ivan, ci vediamo!”. Danza Ivan, ora puoi farlo! Danza nella Vita!
POST SCRIPTUM: mentre sto per consegnare questo testo, un messaggio di Chiara, cugina di Ivan, mi comunica che, a 96 anni, stanotte è morta Erminia (per tutti Apollonia), nonna anche di Ivan e mamma di Giuseppe e dei suoi fratelli. Era la nonna dalla quale passavo per la comunione prima di entrare in casa di Ivan. Al dolore per la morte del figlio Ivan, ora Giuseppe aggiunge quello per la morte della mamma. La sofferenza è grande per questa famiglia, che porto nel cuore.
Chiedo a voi che leggerete questo testo di unirvi a me nella preghiera per Ivan, Apollonia e per i famigliari, perché il Signore dia loro consolazione.