I preti, le destinazioni. Il metodo potrebbe anche cambiare

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 I nuovi preti “piovono dall’alto”.
È il metodo in funzione, con tutti i connotati:
non se ne deve parlare, ma qualcuno ne parla,
non si deve sapere ma si dice che, arriva il tal prete, forse è vero, forse non è vero…

Succede che in tutto questo parlare la prima destinataria, la comunità, è la grande assente. Non solo le parrocchie non sanno nulla ma non devono sapere nulla. Ne bo parlato in un precedente articolo.

Si risponde: mica si può far scegliere il proprio parroco alle parrocchie (una volta, però, in molte parrocchie, questo succedeva e neanche tantissimo tempo fa: fino agli anni ’50 del secolo scorso alcune parrocchie “eleggevano” loro il proprio parroco). Ancora una volta: siccome le parrocchie non possono fare tutto, decidiamo di non fargli fare niente.

Proviamo a immaginare un sistema diverso

Mi domando. Ma è proprio così difficile chiedere alle parrocchie, ai consigli pastorali, ai consigli per gli affari economici, come si è lavorato in quella comunità, lo stile che si è seguito, come si prega, come ci si consulta, come si fa catechesi, come si organizza la carità, quali sonno i problemi economici e organizzativi… In modo che il nuovo arrivato sia il più adatto possibile alla parrocchia e che non sia la parrocchia a doversi adattare al nuovo arrivato.

Il sistema di designazione dei preti per le parrocchie avviene tra lunghi silenzi e sommessi sussurri. Forse il parlarne, ovviamente nel rispetto delle competenze, potrebbe servire di più. Soprattutto alle parrocchie.

Oppure. Facciamo un’ipotesi. Il “consiglio episcopale” comprende sette persone. Se ci sono cinquanta parrocchie “da sistemare” i sette consiglieri si potrebbero dividere i compiti e andare a “sentire” le parrocchie interessate che, divise e condivise così, non presentano numeri impossibili. Poi ognuno riferisce al consiglio. Se loro non possono, si incaricano persone fidate e capaci (ci sono settecento preti nella diocesi di Bergamo. Possibile che non si riesca a trovarne una decina capaci di fare un lavoro così? E poi, per sé, ci sono anche i laici e tanti laici competenti, sensibili potrebbero tornare utili. Perché non pescare tra i molti laici che fanno parte del Consiglio Pastorale Diocesano?).

Poi, mi parrebbe, il vicario generale e il vescovo fanno dei nomi. A quel punto dovrebbe subentrare un certo ragionevole silenzio. Ma dovrebbe sempre restare prioritaria la preoccupazione di limitare il più possibile il rischio degli uomini sbagliati al posto sbagliato. Perché anche questo succede nella Chiesa e, siccome succede, si dovrebbe fare di tutto perché succeda il meno possibile.

Alla fine, vescovo e vicario generale “tirano le somme” e decidono. Il loro potere è salvo, come è giusto che sia. Ma è arrivato come conclusione di una serie di confronti ed è, a quel punto, un potere molto “servizievole”, e quindi “ecclesiale”. È, detto in soldoni, l’esatto contrario del potere clericale il quale, essendo esercitato da pochi, rischia molto di essere esercitato male, perché i pochi non possono fare molto.

Un uomo solo (o pochi uomini soli) al comando non è l’ideale per la Chiesa

“Come si fa a sentire cinquanta, settanta, ottanta parrocchie?”. Obiezione sacrosanta. Se chi deve sentire è uno solo, è impossibile sentire tutti. E, essendo impossibile, il comandante solitario si sente giustificato a continuare a fare il comandante solitario. Mentre i molti possono fare il poco che è loro richiesto. Vedi sopra. E, in quel caso, il comandante deve essere molto bravo perché “tirare la somma” di diversi calcoli è più impegnativo che tirare la somma di un calcolo solo. Ma nel calcolo unico, basta un numero fuori posto e tutto il calcolo salta. Nel caso, invece, di molti calcoli, un numero fuori di uno dei tanti calcoli, fa saltare solo quel calcolo mentre gli altri possono comunque continuare a funzionare.

Mi accorgo che sto facendo delle considerazioni da amministratore di un’azienda. La cosa un po’ mi intristisce. Perché qualcuno potrebbe perfino sospettare che ci sia più democrazia nel fare i bilanci di un’azienda che nel disporre le persone di una comunità cristiana.

Se fosse vero, ci sarebbe proprio da disperarsi. Ma è sicuro, deve essere sicuro che non è vero. Non può essere vero.

Poi, soprattutto, bisogna ripensare a fondo la fisionomia delle parrocchie

Anche se, poi, resterebbe da fare una successiva considerazione che potrebbe essere enunciata con una domanda. Supponiamo che tutti i preti siano “sistemati” bene, che i casi difficili, per il bene dei preti e soprattutto per il bene delle parrocchie, siano ridotti al minimo. Tutto risolto? Evidentemente no.

Non basta destinare bene i preti perché tutto sia a posto. Bisogna ripensare le parrocchie. E soprattutto un capitolo fondamentale: la fisionomia generale della parrocchia e, in particolare, il ruolo dei laici. La parrocchia è di tutti e non soltanto di qualcuno, fosse pure prete e fosse pure, bravo, vivace e santo. Ma questo è un discorso ampio, difficile, impegnativo.

Ma proprio perché è ampio, difficile e impegnativo, bisognerebbe incominciare a farlo, senza paure e senza censure. Per il bene di tutti. Per il bene delle parrocchie, soprattutto.

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2 Comments

  1. Sito medio ha detto:

    Sono tutte condivisibili le metodologie ipotizzate,
    per metterle a regime però ci vogliono
    almeno due Concili. Mi accontenterei che il parroco accettasse di essere messo in discussione…. e che pensasse che la comunità parrocchiale non è un insieme di combriccole che si spartiscono “il potere …)”

  2. fiorenza cattaneo ha detto:

    Condivido pienamente questa riflessione. Tutto arriva dall’alto. Quando cambia il prete per noi laici, mai comunque interpellati, è sempre un terno al lotto. Quanto invece si potrebbe sapere da quei laici veramente preparati e attenti ad un stile di comunita costruito nel tempo! Per dare una vera continuità pastorale …… mentre attendiamo il nuovo parroco è tutta un ansia per capire se arriverà quello giusto…..ma perché noi laici siamo quelli che 24 ore al giorno e per una vita intera abitiamo e viviamo la parrocchia. E soprattutto perché crediamo tanto a quel vangelo che vorremmo incarnare nelle nostre comunità cristiane. Basta una nomina sbagliata per sfasciare tutto, oppure una azzeccata per continuare a sentire che il signore è ancora in mezzo a noi.

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