Fra le fotografie che meglio raccontano la Grande Depressione degli anni ’30 in America, ci sono gli scatti in bianco e nero delle file di uomini in attesa di una zuppa e un tozzo di pane, diventate tristemente note come breadlines, le code per il pane.
Il testo di una famosa canzone del periodo – decisamente anomala per la Broadway dell’epoca e per l’America tutta – parla di un uomo smarrito:
continuavano a ripetermi che
stavo costruendo un sogno
e che ad attenderci c’erano pace e gloria
Perché dovrei starmene in fila
in attesa di un pezzo di pane?”
(Brother, can you spare a dime? Fratello, hai dieci centesimi?).
Il protagonista della canzone, che ha combattuto in guerra e poi lavorato duramente, innalzando grattacieli e arando la terra, si ritrova a mani vuote a implorare un pezzo di pane, escluso dal sogno in cui aveva creduto, con un senso di avvilimento e tradimento.
Questi uomini, che vediamo nella fotografia, hanno finalmente raggiunto la mensa e mangiano a fianco uno dell’altro, in piedi, allineati al banco, senza guardarsi e probabilmente in silenzio, senza nemmeno il tempo di parlarsi. Con la composta dignità dell’incolpevole miseria, sono occupati in questo elementare esercizio di sopravvivenza.
In prossimità della festa liturgica del Corpus Domini, ci è venuto da ripensare, per associazione forse un po’ incongrua, a queste file di uomini in attesa del loro pezzo di pane, domandandoci quale richiesta o implorazione di vita vi sia nei cristiani, sempre meno per la verità, in fila per l’Eucarestia.
Si parla di chiese che si svuotano, di numeri sempre più esigui, di sacramenti in crisi. Certo, le chiese sono più deserte, ma ci pare inaridimento interiore prima che scarsità numerica. Eppure conosciamo l’enorme commovente ricchezza del cuore umano.
Solo in certi momenti critici, di prova, sentiamo che la vita ha un radicale bisogno di salvezza, ma alla quotidianità della coscienza questa interrogazione e questa urgenza non appaiono la questione decisiva, da non mancare.
Anche il modo di pensare il simbolo e il sacramento appare a volte grossolano ed esteriore, magico e incorporeo, staccato dalla vita. Quasi che la coscienza, cioè l’ascolto interiore dello spirito, non fosse indispensabile per la trasformazione dell’esistenza cui invita quel pane, attraverso un esercizio di memoria, di gratitudine, di restituzione e solidarietà. Vivendo.
“Il Signore è lì dentro…”: ma il corpo di Cristo non è quello sull’altare se non diventa corpo degli uomini, comunità umana.
Corpo sacramentale che diventa reale solo nella fraternità fra gli uomini.
Torniamo a guardare gli uomini della foto, e sappiamo che è soprattutto per questa umanità povera e sfiduciata, nella miseria (non solo materiale), che il Signore viene a dare la vita.
Comunicare col Corpo di Cristo è partecipare alla resurrezione, che è adesso, in questa vita trasformata dal legame con Dio e con i fratelli. In fila con loro, riconoscendoli come noi bisognosi di salvezza, riceviamo quel pane che nutre e cambia la nostra vita, facendola più simile a quell’umanità nuova che Dio sogna, e ci ha fatto vedere quando è venuto a fare l’uomo tra noi.
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Sala
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E quel pezzo di pane che ci fa paura. Anche noi abbiamo i cinque pani e due pesci ma perché darli per sfamare la vita di qualcun altro. Soprattutto dei più poveri, dei più fragili. Vuol dire che la novità che ci è stata donata è altrettanto dono per gli altri. Si,è faticoso. Ma che senso avrebbe il ripetersi del corpus domini se noi uomini non abbiamo ancora capito che l’Eucaristia è comunione e fraternità. È l’amore incondizionato di colui che ha dato per noi la vita. Signore quando ci mettiamo in fila per il pane fa che il nostro gesto si a sempre di metterci in fila anche per gli altri.