
I preti, la Chiesa da reinventare… Quando si pensa alla Chiesa da reinventare si pensa ai preti. E si pensa che se i preti potessero sposarsi o, meglio, se si ordinassero preti persone sposate alcuni grandi problemi non ci sarebbero. Ci si riferisce, tra gli altri, al dramma della pedofilia. Ma questa è la classica risposta troppo semplice a problemi troppo complicati.
Le differenze con molta cultura moderna, le forme più accentuate di laicizzazione, la difficoltà ad accettare gli aspetti più provocanti del cristianesimo… eccetera eccetera ci sarebbero anche se si concedesse il matrimonio ai preti o l’ordinazione agli sposati. Il problema, ancora una volta, “sta a monte”.
A proposito di quello che “sta a monte” viene in mente l’immagine cara a Papa Francesco. È l’immagine della sfera e del poliedro, come immagini possibili della Chiesa. Il modello della Chiesa, dice Papa Francesco, nella Evangelii Gaudium:
non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità” (n. 236).
L’affermazione di Papa Francesco porta con sé diverse suggestioni. Prima. La Chiesa non va vista come un complesso unico, perfettamente compaginato, perfetto.
Seconda. La Chiesa non è realizzata ma da realizzare, non è perfetta, ma perfettibile.
Terza. Nella Chiesa esistono figure diverse, ruoli diversi, ricchezze diverse che contribuiscono in maniera diversa all’unica realtà della Chiesa. Eccetera. Eccetera.
È soprattutto quest’ultima istanza che ci risulta preziosa in rapporto a quello che stiamo dicendo. Bisogna riconoscere che molte volte la Chiesa che si pensa di realizzare è più una sfera che un poliedro. È faticoso accettare e perfino valorizzare le diversità dentro la Chiesa.
Tutto questa difficoltà diventa una difficoltà anche e soprattutto per il prete. Non è pensabile, infatti, che si possa chiedere al prete di assumersi lui tutta la responsabilità di quel cambiamento. Sia perché il cambiamento diventerebbe impossibile. Sia perché, così facendo, si resterebbe dentro lo schema clericale dal quale invece si vorrebbe uscire.
Più si va avanti e più diventa evidente che se si vuole uscire dalla crisi bisogna uscire da una idea di Chiesa che sta liquefandosi da tutte le parti. Bella impresa, ma difficilissima. Difficilissima ma necessaria.
Intanto ci si potrebbe chiedere non tanto di fare tutto, ma di incominciare a fare qualcosa. Tra le molte cose che si potrebbero fare, mi chiedo a che punto è quella cosa di cui si parlava tanto in passato. Non se ne parla più oggi. Questa: la vita comune dei preti.
E’ nota la battuta, caustica, al limite, cattiva. “I preti stanno una decina di anni in comunità, in seminario, per imparare a stare da soli, in parrocchia”. Fare vita comune, però, non significa prendere un pasto una volta ogni tanto e neppure tutti i giorni.
Stare insieme, confrontarsi, accettare la fatica delle proprie diversità… Mettere insieme casa, soldi, servizi. Anche i soldi. Ha senso ancora parlare di “cassa comune”? I preti davvero sono capaci di “stare insieme”, di vivere fraternamente? Fare comunità al servizio della comunità? Si sentono realizzati quando vivono da soli o quando vivono insieme?
La Chiesa, anche quella di Bergamo, non vive “fuori dal mondo”. E per collocarsi correttamente nel mondo si deve capire. E’ il capitolo decisivo della formazione e della cultura. In tutta la società ci si preoccupa di essere al passo, di rinfrescare la propria cultura, di capire, appunto, la situazione nella quale ci troviamo. Questo è anche il compito ineludibile della Chiesa.
La Chiesa deve capire il mondo nel quale si trova e deve capire se stessa in rapporto alle sue radici, il Vangelo, e poi in rapporto al mondo, al quale il Vangelo è rivolto. Non è un caso che il settore più “lontano” dalla Chiesa sono i giovani. Cioè i più “dentro” la cultura di oggi sono i più “fuori” dalla Chiesa. I preti, come responsabili di comunità, incaricati dell’annuncio liturgico e non solo, devono parlare a questo “mondo” che, in buon parte, se ne è andato.
Ora, proprio mentre questa esigenza è massima, sono venuti a mancare o si sono rarefatti in maniera preoccupante tutte le iniziative di formazione, di ripensamento del mondo moderno… Certo manca l’offerta, ma manca anche la domanda. Dall’alto si fatica a offrire e dal basso si fatica a chiedere. La passione della cultura sembra essersi assentata da buona parte della Chiesa.
Mi chiedo dove porta questo circolo vizioso.
Anche perché tutto questo si abbina alla crisi del seminario di cui abbiamo già parlato. Il “gruppo pensante” dei preti del seminario era al servizio della diocesi perché, prima, era al servizio dei futuri preti. I futuri preti sono in calo vertiginoso.
Come si potrà tenere in piedi un gruppo di insegnanti senza clienti? (A proposito: mi hanno detto che la congregazione romana dei seminari stabilisce che una scuola di teologia di un seminario può stare in piedi a condizione di avere almeno 30 alunni. Altrimenti deve chiudere. Gli alunni della teologia del seminario, quest’anno, sono 27).
E poi, sta cambiando, vertiginosamente, la fisionomia della parrocchia. E’ un tema impegnativo (ci ritorneremo, di sicuro). Possiamo soltanto notare il grande movimento complessivo. Alla piccola parrocchia (nella diocesi di Bergamo metà delle 389 parrocchie hanno meno di 1000 abitanti) fortemente compaginata e definita si sta sostituendo un agglomerato di parrocchie.
E i preti devono reinventare il loro servizio. Spesso sono stressati perché devono, in pochi, tenere in piedi i molti servizi “di un tempo”. E corrono da una messa all’altra, da una festa all’altra. Fino a non molto tempo fa correvano storie di preti costretti a inventarsi diverse veglie pasquali per accontentare tutti loro piccoli greggi.
E poi. Come si vive e si cotruisce il rapporto con i laici? Si sta davvero delineando, con fatica, ma con decisione, una parrocchia sempre meno legata al campanile, sempre meno dipendente dal prete, sempre più comunità, sempre meno sfera e sempre più poliedro?
Belle domande. Difficili risposte.
Con una certezza: la Chiesa – e con lei il prete – non si salva svenandosi a tenere in piedi quello che è già finito. O si cambia o si muore.