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Non ce la faccio più. L’ho comunicato a chi di dovere ma ho la sensazione che non mi prendano sul serio”. 

Così mi ha detto nei giorni scorsi un amico prete che è passato a trovarmi. Sono tanti i preti della nostra diocesi che, in forme diverse, denunciano, in misura crescente, la fatica di stare dentro gli impegni parrocchiali sentiti sempre più insostenibili.

Difficoltà personali, ricoveri, rinunce

Non è un caso che negli ultimi anni si sono moltiplicati in diocesi non solo situazioni personali che hanno richiesto stacchi e in alcuni casi ricoveri ospedalieri ma anche numerose richieste di rinuncia esplicita alla parrocchia.

Un tempo l’ambizione era vedersi assegnata una parrocchia di grandi dimensioni, oggi pare il contrario. Non che manchino aspiranti candidati, però è certamente cambiato il clima e le aspettative al riguardo. 

Crisi del prete? Crisi della parrocchia? Credo entrambe le cose. Di sicuro, assistiamo ad una crescente disagio da parte dei pretiBurnout (più o meno dichiarato), marginalità crescente, fine del “ruolo”, sono solo alcuni dei molti aspetti di un turbamento che, benché spesso tenuto nascosto, interpella fortemente la Chiesa, anche quella bergamasca. Almeno su due aspetti fondamentali: il discernimento sulle modalità storiche con le quali il ministero sacerdotale possa vivere oggi nella chiesa e nelle società odierne e i modi attraverso cui il ministero possa rappresentare una contraddizione per il tempo presente.

La parrocchia in crisi di identità

Resta poi sospesa la risposta alla domanda che si fanno in molti: la parrocchia, straordinaria e feconda eredità del tridentino, è arrivata al capolinea? Perché – la sensazione è di tanti – la parrocchia oggi viva una profonda crisi di identità, frutto spesso delle crisi precedenti.

Nel XXI secolo, cosa vuole essere la parrocchia? Erogatrice di sacramenti? Rassegnata comunità di superstiti nostalgici del tempo antico? Banco vendita dei proprio talenti? Agenzia sociale? Agenzia del culto? Gruppo autoreferenziale di amici? Centro anziani? Cerchia di impauriti che si riconosce in poche parole d’ordine? Ente pellegrinaggio? Centro estivo per bambini? C’è un’identità che deve essere ricostruita, tra rinunce salutari (e probabilmente dolorose), aperture, coraggio, smarrimenti. L’inerzia, la navigazione sotto costa, le contraddizioni sono segni di una comunità in cerca di se stessa (Sergio Di Benedetto).

Vivere così è difficile

In ogni caso, è evidente quanto siano poco significativi il linguaggio e i temi parrocchiali ai molti che sempre di più stanno fuori dal perimetro ecclesiale. E’ comprensibile quindi la difficoltà dei preti a stare dentro una situazione fluida nella quale si fatica a intravedere percorsi e strumenti di rinnovamento. Al punto che parecchi sacerdoti che conosco ritengono oramai superato e non più sostenibile un modo di vivere (da celibi, soli, senza vere relazioni autentiche) e un modo di operare che li vede come manager responsabili di un numero sempre più grande di comunità e quali distributori di “servizi” con il compito di soddisfare i bisogni religiosi di fedele sempre meno interessati.

Questioni complesse e proprio per questo, come Chiesa, andrebbero discusse e ragionate insieme più di quanto non si faccia. 

La patina di silenzio, le complici omissioni, creano l’illusione di spostare più in là il problema, così che il tempo possa portare a soluzioni più o meno accettabili. Nel frattempo, si caricano le vite delle persone di pesi. Per qualcuno, sempre più insostenibili.

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3 Comments

  1. Marzio Colleoni ha detto:

    Riporto
    Al punto che parecchi sacerdoti che conosco ritengono oramai superato e non più sostenibile un modo di vivere (da celibi, soli, senza vere relazioni autentiche).

    Ti assicuro che anche i Laici (soli) non vivono relazioni autentiche.

    La solitudine può essere una grazia o una maledizione.

  2. Marzio Colleoni ha detto:

    Riporto:
    Ci sono segnali di sofferenza e voci di lamento: ora servirebbe la voce della profezia, di chi prova a indicare una strada nuova. Immagino non la si possa cercare in coloro che non hanno mai dimostrato doti di ascolto, propensione al rischio, creatività e capacità di leadership.

    Mio commento:
    “La voce della Profezia non c’è . Perché non ci sono i Profeti”.

  3. don Matteo Cella ha detto:

    Ciao Daniele. Direi che la sintesi che offri e le domande sul senso della vita del prete oggi in una parrocchia centrano il bersaglio. L’istituto parrocchiale che teniamo in vita è un prodotto del Concilio di Trento, ma noi viviamo 5 secoli dopo! E’ cambiato tutto: la cultura, la religiosità, il modo di essere credenti, il rapporto con il mondo, il ruolo delle istituzioni laiche, il modo di abitare il terriotorio. La parrocchia e il parroco invece restano la stessa cosa. Oltretutto, in questi ultimi anni a Bergamo abbiamo fatto molti passi indietro: la preoccupazione di dare un parroco a ogni comunità ha accelerato un processo di autoestinzione perchè non si sono affrontati i problemi, si sono sacrificate risorse preziose e le persone sono state abbandonate al loro destino in nome della tutela dell’istituzione parrocchiale. E’ ovvio che poi esplodano tutti i problemi personali e comunitari ai quali ti riferisci.
    Più di ogni altra cosa, oggi la Chiesa dovrebbe recuperare l’idea che esista il futuro. Papa Francesco è un maestro isolato e inascoltato. La Chiesa italiana e bergamasca soffoca nella conservazione del presente, oppressa da se stessa e dai propri compiti svuotati di senso perchè senza più prospettiva a motivazione. La figura del prete, del parroco in modo particolare, esce vittima di questo impaludamento. Un po’ ne è certamente anche complice. Certamente il problema comprende anche il laicato e buona parte dell’associazionismo cristiano.
    Ci sono segnali di sofferenza e voci di lamento: ora servirebbe la voce della profezia, di chi prova a indicare una strada nuova. Immagino non la si possa cercare in coloro che non hanno mai dimostrato doti di ascolto, propensione al rischio, creatività e capacità di leadership.

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