I preti. Celibato e vita comune

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I preti. Celibato e vita comune

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Ho notato come più volte su questo blog
sono ritornati degli articoli e delle riflessioni sul celibato dei preti.
Anche io, come don Alberto Varinelli, non sono né un teologo, né un esperto in materia.
Visto che un pensiero e un’idea però me la sono fatta anche io sulla questione del celibato dei preti
provo a buttar giù queste mie semplici riflessioni

Premesso che anche io non ho grandi problemi, anzi ne sarei felicissimo, se dovessi vedere un amico prete spostato. Penso ad alcuni miei amici e conosco il loro vissuto. Potrebbero tranquillamente celebrare ed esercitare un ministero pastorale adeguato.

Il celibato non è il problema più importante

Ma non è di questo che voglio parlare. Penso che la questione del celibato sia una questione importante e vitale. Ma posta nel modo come è stata descritta, la trovo un poco stucchevole e di secondaria importanza. La questione fondamentale che per me è un’altra.

La vera questione è la vita comune di noi sacerdoti. Perché dico questo? Come prima cosa vita comune o vita fraterna non è trovarsi a pranzo o cena, pregare un po’ al mattino, dialogare su come dividerci messe e impegni. Salvo poi far saltare gli appuntamenti quando la pastorale mi chiama. Vita comune è pensare tempi, modi, luoghi dove si vive insieme quotidianamente.

Questa, infatti, è la logica della famiglia. Anche la casa parrocchiale in questo senso deve avere una logica. Deve trovare un equilibrio tra spazi personali e fraterni dignitosi per tutti. In una casa non c’è la camera bella per i genitori e una camera secondaria per i figli. Poi ci sono quegli spazi che sono comuni per tutti e che la famiglia impara a gestire insieme. A volte mi è sembrato un po’ così: uno spazio principale per chi ci vive sempre, alcuni spazi per gli altri, spazi comuni pieni di cose, fogli e altro.

Altro particolare: se è vita comune le scelte, le decisioni, le questioni si condividono, altrimenti la casa diventa, come si dice, un albergo.

Un maestro: Don Roberto Pennati

Queste cose che sto scrivendo le ho imparate vivendo con don Roberto Pennati. L’esempio più bello che mi piace raccontare è il seguente. Quante volte per motivi “seri” di pastorale arrivavo tardi a pranzo o a cena e non avvisavo. Quante volte per motivi altrettanto seri non riuscivo ad essere presente agli appuntamenti che ci davamo. Lui, don Roberto mi inchiodava alla mia responsabilità. La vita comune, mi diceva, richiede di stare attenti a questa modalità di vita.

Ritengo che il vero problema non sia il celibato o il matrimonio, ma l’educazione al grande valore della vita comune come luogo, tempi e modi di attenzione alla vita della casa e delle persone con cui abito. Il cibo curato, la casa capace di rispettare le esigenze di tutti, i ritmi che non fanno arrabbiare perché non sai mai se ci sei o no, la preghiera fatta insieme.

La vita di famiglia che noi chiediamo a noi nostri parrocchiani è questa e allora perché non praticarla noi per primi? Don Roberto in questo senso per me è stato maestro, un maestro severo ma dolce insieme. Vivere con lui e con tante altre persone in quella casa è stato per me una scuola di povertà obbedienza e castità.

Mettere al centro la vita comune, ha voluto dire rispetto delle persone che vivevano con me, rispetto della casa mettendo il mio contributo di tempo e di fatica per rendere vivibile quella casa.

Casti perché obbedienti

È stata un’esperienza faticosa, ma affascinante. Avevo letto un libro tanti anni fa di Thaddée Matura dal titolo “Celibato e comunità“. Il tema di fondo del libro era che il grande voto fondamentale nel monachesimo antico era quello della stabilità, della comunità. La modalità per vivere tale stabilità consisteva nel costruire relazioni caste, povere e obbedienti con l’altro che stava in comunità.

Per me il problema va posto in questo modo: una vita comune che mi richiede una capacità di relazioni caste, obbedienti e povere. Mi vedo già la grande osservazione: ma noi non siamo monaci siamo pastori e quindi prima la pastorale. Lo ribadisco. Prima viene la vita comune. E sarà questa che ci aiuterà a vivere meglio la nostra pastorale.

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