Maria a Betlemme

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A teatro: “La vita davanti a sé”
Dicembre 23, 2022
Costruiamo il presepio. Oggi
Maria, la Vergine, la Madre.
Attorno a lei una barriera di grazia.
E la sua “solitudine assistita”

Maria, Mariah, Marie, Mary, Maryam, Myriam, colei dal nome universale e il cui nome racconta una storia d’amore, l’amore di una donna dell’umanità e per l’umanità. Maria è l’amata dalla Vita e colei che ama la vita, al punto da accoglierla dentro di sé. Maria diventa così la madre ed «in nome della madre s’inaugura la vita»[1].

Meraviglia e mistero

Maria è l’inizio di una storia che non ha bisogno di parole, il cui silenzio è pieno di meraviglia e mistero. Maria è colei che racchiude il mistero della grazia, compreso e custodito soltanto da colui che la rispetta sinceramente per il suo coraggio, Giuseppe, che pronuncia per lei le più belle parole d’amore:

[La grazia] non è un’andatura attraente, non è il portamento elevato di certe nostre donne bene in mostra. È la forza sovraumana di affrontare il mondo da soli senza sforzo, sfidarlo a duello tutto intero senza neanche spettinarsi. Non è femminile, è dote di profeti. È un dono e tu l’hai avuto. Chi lo possiede è affrancato da ogni timore. L’ho visto su di te la sera dell’incontro e da allora l’hai addosso. Tu sei piena di grazia. Intorno a te c’è una barriera di grazia, una fortezza. Tu la sparsi, Miriam: pure su di me».[2]

Maria è l’inizio di una storia d’amore rivoluzionaria, come rivoluzionaria è la decisione di ogni donna di essere madre, anche là dove il felice mistero della maternità si fa foriero di sventure. Maria è madre sorella rivoluzionaria di tutte le donne che sfidano la vita, pur sapendo che «in nome del padre: [s’] inaugura il segno della croce». 

Dare la vita anche dove la vita muore

Maria, Mariah, Marie, Mary, Maryam, Myriam è ogni donna e ogni sorella che sceglie di dare vita alla Vita anche là dove la vita muore: è colei che «partorì da sola. Questo è il maggior prodigio della natività: la perizia di una ragazza madre, la sua solitudine assistita»[3]. E’ colei che partorisce ogni giorno nel corpo di una donna e sorella tra la paura e la speranza di essere una della prossime vittime, insieme alla creatura ha accolto, di non godere di questa grazia in un continente immenso e luminoso in cui Maria e il bambino senza nome ancora troppo spesso non sopravvivono. E’ colei che le cui lacrime rigano il volto per il mistero della vita appena iniziata e di quella che una bomba per scelta o errore umano potrebbe terminare alle porte di una terra che ha sempre dichiarato di difendere la pace. E’ colei che scappa dall’inferno con la paura di annegare e che, mischiando lacrime, acqua salata e sangue, fa nascere la vita dal mare e al mare la consegna, nella speranza di un porto sicuro. 

Un vento che si abbatte su una fioritura e lascia un fiore solo

Maria è l’inizio di una storia di vita, la vita che solo la primavera porta con sé, quella del maestrale di marzo che semina fiori, quegli degli amori appassionati, quella che

quando si è vergine si pensa che tutti gli amori sono possibili, poi d’improvviso uno cancella gli altri mai venuti. Diventare donna porta questa semplificazione, un vento che si abbatte sopra una fioritura e lascia un fiore solo. Tutta l’immensità di prima precipita in un abbraccio»[4].

E la paura di dare la vita lascia spazio all’amore della Vita eterna. 

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[1] Erri De Luca, In nome della madre, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 2009.

[2] Idem.

[3] Idem.

[4] Ibidem. 

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