Il riposo eterno

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C’è una preghiera che siamo abituati a ripetere soprattutto durante i giorni della commemorazione dei defunti, che recitiamo forse senza molto soffermarci sul significato delle parole, così come quello che da anni abbiamo memorizzato, ma non sufficientemente interiorizzato.

Oggi è difficile capire il riposo. Soprattutto se “eterno”

Mi riferisco alla parola “riposo”.

Non è semplice parlare del riposo che, per la nostra società produttivistica, può diventare sinonimo di vuoto, ozio o noia, soprattutto se si tratta di qualcosa che si dice duri in eterno.

Ma che cos’è l’eterno?

Anche la Chiesa, presentando di preferenza un volto etico, razionale, efficiente del cristianesimo, rischia di non saper articolare parole, che pure le sono proprie, capaci di dischiudere orizzonti a un’umanità sempre bisognosa di senso. Per dire che la morte non è l’ultima parola, che il mondo vive già di redenzione, che Cristo ha vinto la morte (“dov’è o morte il tuo pungiglione?” 1 Cor 15,55), che il fine è la comunione, il riposo in Dio, e la nostra partecipazione a questa divinità quando “Dio sarà tutto in tutti”

La Scrittura riabilita il riposo.

Il settimo giorno Dio ha cessato la sua attività, per donare autonomia alla creazione

Fin dall’inizio, nel libro della Genesi, si dice: “Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò da ogni lavoro” (Gen 2, 2).

Dio nel settimo giorno ha cessato la sua attività , si è come ritirato, per donare autonomia alla creazione  stabilendo una fine, che è la finitezza, il limite, ma insieme anche ha stabilito il fine, che trova  nel Crocefisso il suo apice: “Tutto è compiuto” (Gv 19, 30). 

Sono le ultime parole di Gesù.

Si è compiuta la totalità dell’amore.

Il riposo eterno è la ricchezza di un amore infinito

Questo è il riposo eterno: non l’inerzia, la privazione o l’assenza, ma la ricchezza di un amore infinito, la destinazione a cui è chiamata la terra e i suoi abitanti.

IL confronto con la Scrittura porta ad approfondire il significato di “riposo”, a contestualizzarlo dentro la storia dell’uomo.

Nel racconto del popolo che, dopo i 40 anni del deserto e della schiavitù, entra nella Terra promessa, Giosuè dice: “Ora il Signore vi dà questo Paese e vi concede la pace del riposo”.

Nella Terra promessa il popolo è libero. Inizia il tempo della festa e del riposo

La Terra è la pace, il dono di Dio, il suo sì, perché è il luogo della liberazione: non più schiavi ma liberi. Ed è anche il tempo della festa,  del riposo, in cui ringraziare Dio, e il tempo della condivisione, dell’apertura agli altri, allo straniero all’orfano, alla vedova.

Ecco la portata teologica del riposo: la Terra della pace e del riposo è una prefigurazione, una caparra del riposo ultimo, ma non per questo sinonimo di quietismo perché la terra promessa è sempre promessa, è sempre in divenire. La Terra, fortemente impiantata in un angolo del mondo, in un centro geografico ben preciso, è costantemente bisognosa di essere liberata dall’asservimento agli idoli del mondo, ed è sempre minacciata dalla nostalgia dei pentoloni delle cipolle dell’Egitto.

È in gioco la nostra umanità.

Ma per chi è assetato di amore e di verità, è data la possibilità di assaporare la pienezza del riposo partecipando alla stessa vita di Cristo. Nel nostro “non ancora”, nella provvisorietà di ogni “oggi” che ci è dato di vivere, attraverso la Parola e nella cura verso il “sacramento” del fratello, possiamo metterci in cammino in continua conversione e già intravedere la luce.

Poi la misericordia di Dio porterà a compimento i nostri balbettii, i nostri incespicamenti e le nostre resistenze per una vita di comunione verso quel riposo, là dove “Dio sarà tutto in tutti”.

E allora, come dice l’autore della Lettera agli Ebrei,

“Affrettiamoci ad entrare nel suo riposo”.

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