Fedez-don Alberto Ravagnani

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per riflettere su cose serie?

Tre settimane fa, l’influencer Fedez, durante la puntata del suo podcast “Muschio Selvaggio”, insieme ai suoi ospiti, ha pesantemente offeso don Alberto Ravagnani, prete Youtuber e curato dell’Oratorio di Busto Arsizio. Don Ravagnani ha riscosso in questi ultimi anni parecchio successo, soprattutto tra i giovani, per i suoi video su temi legati alla fede e alla Chiesa.

Fedez attacca pesantemente don Alberto

Tra i due in passato c’era anche stata collaborazione, con Fedez che aveva invitato don Alberto come ospite del suo podcast per parlare di alcune questioni, soprattutto in riferimento alle posizioni della Chiesa.

Ora, quanto accaduto le scorse settimane mi offre la possibilità per alcune riflessioni. Prima di provare a proporle, ci tengo a esplicitare che non intendo in alcun modo contestare la scelta del confratello milanese di partecipare alla puntata con Fedez e di collaborare con lui: don Alberto ha fatto la scelta che a suo tempo gli sembrava più opportuna e sono solidale con lui per le espressioni volgari e offensive che gli sono state rivolte in sua assenza. Fedez, peraltro, si autoproclama da sempre paladino dei diritti civili (mi piacerebbe domandare al signor Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, se offendere sia diventato un diritto e da quando).

Ma don Alberto ha accettato di parlare nel post(o) sbagliato

Ciò che intendo proporre è una piccola riflessione a partire da questa domanda: un podcast come quello di Fedez è il luogo adatto per parlare di Chiesa, di fede e, in generale, dell’umano? La mia risposta, lo affermo immediatamente, è no.

Mi sembra che questi podcast altro non siano che la versione 2.0 di quelle trasmissioni televisive che andavano in onda negli anni novanta e ad inizio anni duemila. Le ricordo bene nella loro struttura, abbastanza semplice da comprendere e descrivere.

Allora, soprattutto quando si trattava di proporre all’attenzione dei telespettatori un dibattito su temi etici, ad esempio l’aborto, si procedeva in questo modo. Si invitava un vescovo, magari esperto di bioetica o teologia morale (anche se non sempre si sceglievano vescovi particolarmente preparati) e lo si metteva a confronto con la soubrette del momento sul tema scelto.

Chiaramente, già l’immagine che si presentava dinanzi alle telecamere era significativa: da un lato il vescovo, calvo o con i capelli bianchi, con il suo vestito grigio e il clergiman romano nero sul quale risaltava la croce pettorale in argento. Dall’altra, la soubrette, in minigonna e con una scollatura che rasentava la censura.

Lo schema della trasmissione era semplice: veniva posta la questione dal conduttore, il povero vescovo cercava di istruirla decentemente e, dopo poco, subentravano gli strilli della soubrette, quella che ovviamente era “dalla parte della gente”, che urlava “libertà, libertà, basta oppressione della Chiesa, le donne sono libere, il corpo è loro”.

Come è facile immaginare, alle affermazioni della giovane in abiti succinti faceva eco l’ululato degli uomini presenti in studio, che la sostenevano con tifo da stadio e gli occhi fuori dalle orbite, certamente colpiti dalle profonde “argomentazioni” che la soubrette portava a sostegno della sua tesi.

L’esito era scontato: il povero vescovo che aveva scritto fiumi di inchiostro sulla bioetica, alla quale aveva dedicato la vita intera, veniva messo in ridicolo e la resa dinanzi all’impossibilità di parlare risultava sempre l’unica opzione praticabile.

Non si può discutere di tutto dappertutto

Ora, ecco la questione: la Chiesa, che certamente non deve sottrarsi al confronto, deve proprio accettare di presentarsi ovunque a trattare questioni serie? Il mio parere è che le questioni serie, siano esse relative alla Chiesa stessa o a questioni umane ed etiche fondamentali, devono essere discusse con gente competente e in luoghi appropriati ad istruire discorsi e confronti seri e approfonditi.

Pensare di trattare di questioni importanti in sedi che nemmeno permettono di dire la bellezza dell’incontro personale con Gesù Cristo è inutile e forse dannoso. La questione va inevitabilmente a finire nelle chiacchiere sui soldi del Vaticano, il prezzo dell’anello del papa, il perché la Chiesa chiede la castità prima del matrimonio e come vivono la sessualità i preti.

Certamente la Chiesa deve annunciare il Vangelo e proporre la sua visione antropologica e morale anche attraverso gli odierni strumenti di comunicazione e i social networks, ma deve farlo in modo serio e confrontandosi con persone che, nel rispetto delle diverse posizioni, permettano un dibattito autentico e competente.

Allora, lasciamo gli influencer ai loro milioni di followers e alle loro attività, e noi proviamo, con chi vuole seguirci, pochi o tanti che siano, a trattare seriamente di ciò che ci sta a cuore.

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