Fin dall’inizio della mia attività lavorativa, nel ‘72 dovetti affrontare non solo l’introduzione dell’IVA, ma anche la prima crisi energetica, quella delle “domeniche a piedi”, a seguito della guerra del Kippur.
Avevo ereditato l’immobile, che i miei genitori avevano acquisito nel 1946, trasformando una vecchia struttura precedentemente occupata da un’azienda di autotrasporti, più gli automezzi e le apparecchiature per esercitare l’attività commerciale di vendita di “tutti i derivati del petrolio”, come si qualificava allora l’Alfa Petroli.
Tutto era vetusto, spesso in stato di degrado: guardavo l’azienda e mi domandavo come avrei fatto a lavorare in quelle condizioni.
La prima cosa che feci fu di pulire il più e quanto possibile e di buttare via tutto il rottame e le cianfrusaglie che erano state accumulate nel tempo; poi rimisi in funzione un vecchio viscosimetro di Engler, comprando un cronometro di precisione; quindi acquistai due strumenti per la misura del Punto di Infiammabilità in Vaso Aperto ed in Vaso chiuso ed alcuni Densimetri, di precisione, il minimo indispensabile per un piccolo laboratorio di controllo di qualità del gasolio e dei primi lubrificanti che avevo incominciato a produrre: oli idraulici per comandi oleodinamici ed oli motore.
Ero affamato di conoscenza: mi ero laureato a pieni voti in Chimica Industriale, ma andavo a caccia di tutte le informazioni che potevo raccogliere per mettere in relazione la struttura e la composizione chimica dei lubrificanti con le loro prestazioni per le varie applicazioni. Mi facevo dare dai fornitori e studiavo con attenzione tutte le schede tecniche dei vari componenti e tutte quelle che potevo raccogliere, a destra e sinistra, dei prodotti dei marchi più diffusi, come Esso, Mobil, Agip, Gulf, ecc. In particolare, ero riuscito a farmi dare le fotocopie (che ancora conservo dopo oltre 50 anni!) delle tabelle di corrispondenza dei prodotti di quei marchi, che mi consentivano di stilare per i clienti le “tabelle di corrispondenza” di tutti gli oli lubrificanti di ogni macchinario in uso.
Avevo poi compilato un quadernetto, per il sig. Renato, che aggiornavo quasi quotidianamente, con la composizione percentuale di ogni prodotto.
Lavoravo tantissimo: dovevo provvedere agli acquisti, visitare i clienti, affiancare i tre agenti di commercio, tenere le relazioni con le banche, controllare le fatture di vendita, tutte fatte a mano, con la macchina da scrivere, provvedere alle manutenzioni, controllare la qualità dei prodotti, con i pochi strumenti che avevo, e distribuire i compiti al personale: il sig. Renato, una segretaria per il ricevimento degli ordini, telefonici dei clienti e manuali degli agenti, e per la compilazione delle fatture, una persona per la contabilità, mia sorella, una persona per il calcolo delle provvigioni degli agenti e il brogliaccio di cassa, mia madre, un autista per il gasolio, uno per i lubrificanti confezionati, uno per l’autotreno del gasolio in entrata, più mio padre, che teneva i contatti con alcuni suoi vecchi clienti. In totale 6 dipendenti più mio padre, mia madre e mia sorella, tre agenti di commercio ed io..
Poi nel ’74, ’75 e ’76 ebbi i tre figli Anna, Stefano e Marco: fu uno shock; avevo 30 anni, dovevo mandare avanti l’azienda e provvedere con il mio lavoro a mantenere e far crescere tre figli. Mi sentivo addosso una responsabilità incredibile, che mi procurava ansia e preoccupazione, anche perché il piccolo Stefano aveva avuto gravi problemi di salute, poi risolti con gli anni.
Ma ero felice, perché amavo e mi sentivo amato da Vittoria e perché l’azienda era in grado di mantenermi e di crescere: lentamente, ma tutti gli anni un poco di più.
Ogni cliente nuovo, piccolo o grande che fosse, era una conquista ed andava curato e accudito con il massimo impegno e la massima attenzione. Guai a perdere una telefonata, guai a non mantenere un impegno preso. Ero disposto ad accettare qualsiasi sacrificio pur di acquisire un cliente: non erano i soldi che mi interessavano, ma acquisire clienti, perché sapevo che una volta fornitili non li avrei più perduti Il valore primario dell’azienda per me non erano i soldi, ma i clienti.
Mio padre non era d’accordo con me e non capiva la mia politica di vendita: ci litigavo spesso ed anche con toni alti di voce, ma l’ultima parola apparteneva a me, perché ero io l’Amministratore Unico, anche se avevo nell’azienda una quota di minoranza del 33,3 %. Il restante 66,6% era diviso per metà tra mio padre e mia madre. Questi erano stati i patti iniziali e mia madre era dalla mia parte. Così, con tenacia, perseveranza e disponibilità assoluta, che pretendevo da parte di tutto il personale, l’azienda cresceva: ancora oggi abbiamo clienti che serviamo da oltre 40 anni e con i quali siamo cresciuti insieme.
Poi, verso il 1975, feci progettare da un architetto una forte ristrutturazione di tutto l’immobile: la previsione di spesa era per me molto alta: si aggirava intorno ai 200 milioni di lire.
E qui ci fu un primo snodo importante per il futuro dell’azienda. Allora era considerato “normale” fare il “nero” e pagare tangenti per le vendite. Vicinissimo alla mia azienda si trovava la Cesalpinia, un’impresa di vecchia data che produceva pectina, l’addensante per cibi di vario tipo come le marmellate. Il prodotto era sì alta qualità, ma gli impianti erano decisamente obsoleti. Era nostro cliente e vi lavorava un amico, mio compagno di liceo, ingegnere chimico. Venne venduta alla Hercules americana, che un giorno inviò un dirigente per la verifica della gestione. Si accorse subito che l’azienda pagava tangenti per sostenere le vendite e ne chiese ragione. La risposta dei dirigenti fu che “in Italia funziona così, non si può vendere senza pagare tangenti e senza fare il nero per pagarle”. Del resto, era molto diffusa la convinzione che se si dovevano pagare tutte le tasse le aziende non potevano reggerne il peso. Ma, come mi confidò il mio amico, l’ispettore della Hercules chiese ai dirigenti italiani: ”Come può un investitore americano aver fiducia in una azienda che per lavorare ha bisogno di commettere reati?”.
Mi colpì fortemente questa domanda ed io stesso mi chiesi: ”Come posso avere fiducia ed investire soldi in un’azienda, se deve operare in queste condizioni per sopravvivere?”. Decisi così che dovevo essere in grado di lavorare nella legalità più assoluta ed eliminai totalmente il nero. Mi resi conto che se l’azienda non era in grado di lavorare nella legalità era parassitaria ed andava chiusa.
Fu una decisione difficile, ma su questa base portai a compimento l’investimento programmato e fui stimolato ad inventarmi una forte innovazione: dismettere le vendite di benzina ed utilizzare l’autobotte ad esse dedicata per avviare la vendita di olio lubrificante sfuso.
La feci adattare allo scopo e proposi ai clienti che facevano lavorazioni meccaniche la dotazione in prestito d’uso gratuito di serbatoietti metallici fuori terra per lo stoccaggio dell’olio, molto più pratici e comodi rispetto ai classici fusti metallici.
Fu una scelta vincente: nessun concorrente forniva questo servizio e l’azienda ne trasse grande beneficio e vendere lubrificanti per le lavorazioni meccaniche divenne presto l’attività prevalente dell’azienda.
Continuavo però a vendere gasolio sia per riscaldamento sia per autotrazione. E un giorno avvenne un fatto che ricordo perfettamente e che rappresentò una svolta molto importante: un nuovo autista, il primo giorno di lavoro in azienda, andò a consegnare gasolio di riscaldamento ad un condominio del centro di Bergamo. Ritornò indietro con parte del carico, dicendo di essersi sbagliato nella procedura delle operazioni di scarico. Mi disse: ”Posso scaricare il gasolio nel serbatoio interrato di stoccaggio?”. Rimasi perplesso: era un furto, ma era la soluzione più semplice. Chiesi al dipendente di fermarsi, dovevo riflettere. Mi chiusi nel mio ufficio per un quarto d’ora e decisi: bisognava riportare la merce al cliente, non potevo trattenere merce non mia. Diedi ordine all’autista di riportare il gasolio al cliente. Lui sollevò parecchie obiezioni: ”Ma io come devo giustificarmi con il portiere del condominio? E se mi fermano senza documenti di consegna?”. “Si arrangi, risposi, dica quello che ha detto a me e si prenda le sue responsabilità.” Così fece ed il cliente ringraziò per la correttezza. Mi resi conto più tardi del rischio che avevo corso: se avessi accettato la proposta “fraudolenta” del dipendente, ne sarei stato complice e avrei dovuto ripagarlo per il reato commesso. Sarei caduto in una “trappola” che chissà dove mi avrebbe portato.
Mi convinsi ancora di più che il rispetto delle regole era essenziale per il futuro dell’azienda.
Leggi i precedenti articoli:
Bellini 01
Bellini 02
Bellini 03