
Avevo 16 anni nel 1962 e frequentavo la II Liceo Scientifico quando conobbi don Luigi Giussani: venne a Bergamo, invitato da Maurizio Cornaro, che voleva estendere alla nostra città l’esperienza della GS (Gioventu’ Studentesca) di Milano .
Tuttavia, a Bergamo c’era già da anni, con sede in via Ermete Novelli 2, la Gioventù Studentesca di Don Tito Ravasio, che organizzava iniziative culturali, come conferenze, dibattiti e la pubblicazione del “Quattromeno”, iniziative ricreative, come le gare di soap-box ed il concorso orchestrine.
Venne avviato così quello che fu chiamato il “Movimento Studenti”. Le parole di don Giussani diedero una svolta alla mia vita: mi rappresentavano un cristianesimo nuovo, privo di paludamenti, esigente, profondo, basato sul Vangelo, che andava letto meditato e vissuto, privo di pietismi e formalismi ritualistici, che facevano di Gesù di Nazareth un “santino”.
Il Movimento Studenti si fondava sul “Raggio”, un incontro tra studenti e studentesse (una assoluta novità per allora!) di diverse età, della stessa scuola superiore, con la partecipazione sempre dello stesso sacerdote, assistente spirituale. In quegli incontri si affrontavano i temi più sentiti dai ragazzi e dalle ragazze di sempre, come i rapporti tra genitori e figli e tra ragazzi e ragazze, il valore dei sentimenti, l’amicizia, la fede, il futuro, lo studio. Si discutevano anche di temi più di attualità come il lavoro, i partiti e la politica, le disuguaglianze sociali dell’epoca, ecc.
Dopo una breve introduzione del sacerdote, tutti i partecipanti venivano invitati ad intervenire, con la raccomandazione di “ascoltare senza ribattere” e di esporre “non idee ma esperienze di vita”, della propria vita. Al termine, lo stesso sacerdote faceva una sintesi degli interventi, sempre in riferimento al Vangelo, che diveniva così “vita vissuta”. Naturalmente, si organizzavano anche incontri conviviali e di svago, gite, passeggiate in montagna, viaggi in pullman, ecc.
Riassumendo, il senso di tutto era quello di stimolare i giovani ad uscire dalla propria autoreferenzialità e di avere relazioni quanto più estese e profonde, non superficiali: in altre parole a “vivere il Vangelo”. Veniva pubblicato anche un “giornalino” mensile, diffuso in tutte le scuole.
Quella del Movimento Studenti fu per me una bella esperienza di vita, che mi aiutò a crescere, dandomi le basi per affrontare il futuro. Quando poi nel ’65 andai a Milano, all’Università, fu naturale per me partecipare agli incontri della GS milanese.
Nel ’66 ci fu la grande alluvione di Firenze e molti dei miei amici andarono a spalare il fango: io non ci andai, preoccupato com’ero di terminare al più presto il corso di Chimica Industriale, per sganciarmi dalla mia famiglia di origine e rendermi indipendente: questo, però, è rimasto uno dei rimpianti più grandi della mia vita.
Poi ci fu il ’68: anch’io partecipai convintamente alle lotte studentesche, volte all’inizio soprattutto a scardinare i privilegi delle classi dirigenti del tempo, contro le disuguaglianze sociali. Tuttavia, quando le “lotte” cominciarono a trasformarsi in atti di violenza, fu per me una grandissima delusione, la fine di un sogno: io volevo costruire relazioni con il dialogo ed il confronto, non certo con la violenza!
Abbandonai immediatamente il “Movimento Studentesco” e pensai a studiare e poi a lavorare.
Non parlai più di politica fino agli anni 2000.