Lizzola/I bambini e le grandi domande

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Costudire l’umano/Alcuni tratti del mondo affascinante dei bambini.
Con una guida di eccezione: Janusz Korczak,
lo straordinario scrittore e pedagogista polacco, morto nel Campo di sterminio di Treblinka il 6 agosto 1942

E’ la comunione di vita con i bambini a permettere a Korczak  di scrivere:

I piú giovani hanno il loro mondo, le loro preoccupazioni, le loro lacrime e le loro gioie, i loro giovani pensieri e la loro giovane poesía. Spesso si nascondono dagli adulti perché si vergognano, perché non si fidano, perché hanno paura di essere derisi. A loro piace ascoltare quando gli adulti discutono, perché sono curiosi. Vogliono conoscere le regole della vita”.[1]

Ma queste regole della vita per esser colte come preziose, convincenti, devono incarnarsi in donne e uomini adulti che siano autoritá amanti.

La salvezza di un popolo riposa sui suoi figli

Le grandi domande sul destino dell’umanità, sull’enigma  della vita, sulla paura e la violenza, sulla natura e sul potere, sulla morte e sulla fraternità sono serbate da ogni bambina e ogni bambino. A volte emergono a chieder conto agli adulti. Cercatori di veritá, i bambini mai la disgiungono dalla sincerità, e dalla testimonianza coerente di vita. “Negli scritti korczakiani le figure che incarnano la speranza sono sempre bambini. Secondo Korczak la salvezza di un popolo riposa sui suoi figli e sulle sue figlie”.[2]

Per sapere e accompagnare i cammini di bambine e bambini, occorre sapere amare. Saper amare serve per costruire nella vita condivisa nella “Casa dell’orfano”, spazi e tempi per gesti, pensieri e scelte del bambino. Per venire incontro ai suoi esercizi di spontaneitá e di responsabilitá e di relazione con altri e con le cose. Per la scoperta delle regole, del giudizio, della cura della vita comune. Da parte dell’adulto ci vuole rispetto: rispetto e ricerca, rispetto e chiarezza, rispetto e attesa.

La capacitá di innovazione, di ribellione e di novitá, di libera azione di ogni piccola e piccolo trova misura con gli altri bambini (coetanei, piú piccoli, piú grandi) e con adulti che li amano. Ai quali possono rivolgersi per confronti, o per confidenze. E’ una capacitá che diventa forza feconda di ripensamento dei comportamenti e delle culture del mondo istitutito degli adulti. E’  una pratica di futuro, o, almeno, ne rappresenta una riserva, quasi una “caparra”, per un avvenire di pace e giustizia.

Serbare e avere rispetto della vera natura propria del bambino, di ogni bambina e bambino è per il vecchio Dottore decisivo per le sorti dell’umano.

I bambini, pienezza di umanità

I bambini e le bambine non sono adulti in potenza (e in difetto) ma una pienezza propria di umanitá: da cogliere, rispettare, con la quale dialogare con attenzione. Quando possono vivere la propria età, la propria scoperta e il proprio sviluppo in pienezza, i bambini sono “rispettati”. Il rispetto (che è oltre il diritto, lo connette all’obbligazione così come le vede Simone Weil) è riconoscimento, anche della richiesta di interrogazione, di confronto esigente sui fondamenti e sulle scelte concrete del mondo adulto. Come sulle grandi questioni, anche sulla questione della morte.

Colpisce in Korczak la profonda, precocissima sensibilitá verso quanti, per povertá, malattia o violenza, vivono svantaggi, disagi e abbandono. Anche da questo origina la scelta di vita di dedicarsi ai bambini e alle bambine orfani, o colpiti dalla malasorte, ai bambini di strada.

Prima ancora di diventare medico sviluppa una intensa attivitá educativa rivolta ai figli delle classi diseredate: lezioni private, attivitá nelle biblioteche popolari, educatore nelle colonie estive. Per decenni dirige la “Casa dell’orfano” per bambini ebrei a Varsavia colaborando anche con “La nostra Casa” per bambini poveri polacchi.

Offre loro, certo, assistenza materiale, ed anche un ambiente ricco di attenzioni in cui sperimenta nuove prassi educative con un ricco confronto e scambio con le teorie e le esperienze di Pestalozzi, di Deroly, di Montessori, di Spencer e Fröbel.  I bambini, sostiene, sono i veri “proletari”, portano in sé istanze e pratiche di rinnovamento radicale e rivoluzionario della vita. Portano anche un’attesa di relazioni di pace e di amore, se possono vivere in pienezza l’infanzia. Se non viene loro “avvelenata” da miseria, rabbia cieca, lotta per i bisogni primari, desensibilizzazione.

Quello che lui assume è un compito per l’avvenire, non è la scelta di un terreno per la sperimentazione di un modello pedagogico. Un compito che prende la sua vita, il suo modo d’essere, il suo tempo (non poteva concedere energie a costruire carriera e celebritá). Korczak costruiva e narrava le preziosissime vicende con le centinaia di bambine e di bambini, di ragazzi, della sua “Casa dell’orfano”. Nello stesso tempo l’Europa ed il mondo proponevano ed imponevano a centinaia di migliaia di loro concetti e pratiche di educazione diametralmente opposte. Per arrivare all’estremo di seminare in moltissimi un’adultizzazione fatta di odio e di disprezzo, di amore per la violenza e di morte e disperazione.[3]

In ogni bambino vive un umano a venire, da fare esprimere ed accogliere nella convivenza, per rifarla e ripensarla, per salvare speranza e desiderio. Non lo si puó  disperdere, non lo poteva fare il sessantuedenne dottore che usciva con i duecentotre bambini, e con i suoi collaboratori (alcuni non ebrei), dal ghetto di Varsavia verso Treblinka il 4 agosto 1942.

Orizzonti più larghi di ogni pedagogia

Ciò che impedisce di valorizzare e far entrare come un fermento generativo nelle società questo patrimonio è spesso un esercizio del potere oppressivo, ma più ferialmente  sono contesti di vita segnati da indifferenza, sfruttamento, miseria, mancato acceso alll’istruzione, malattie, mancanza di lavoro. Nelle famglie segnate da queste condizioni i bambini sono i piú colpiti, e ancor piú trascurati.

I testi di Korczak sono sorprendenti, così poco accademici e ricchi di sapere e saperi, capaci di cogliere e riflettere vita. Cosí esigenti. Colgono questioni, domande e orizzonti che sono piú profonde e larghe di ogni nostra pedagogia.

Il suo riflettere è narrare, il suo narrare è osservare ed ascoltare, sospeso tra saggio e racconto di verità, scava con sguardi di più discipline nelle esperienze della vita di bambine e bambini (e nel rapporto complesso di madri e padri, di educatori e adulti con  i piccoli) per trarre indicazioni e orientamenti.

Il suo tono, nella vastissima attività culturale e fomativa che lo vede utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione, è, da un lato, teso a riaprire riflessione, a proporre modi di pensare i bambini, e gli adulti, rinnovato e libero da schemi rigidi, o semplificati, o ripetitivi. D’altro lato, ed è questo l’elemento rilevante, mentre parla agli adulti si tiene “sempre in prossimità del bambino , (…) anche quando parla a noi, parla a lui”.[4]

Superare l’infanzia presto, diventando “grandi”, aumentando e ingrandendo (corpo, gesti, presa e misura del pensiero, forza, …) è forzare e negare l’infanzia. E’ rompere i rapporti preziosi  e profondi che ogni bambino e bambina vive come protagonista della sua vita, l’intensitá del presente e di un rapporto con le cose già cosí carico di futuri. E’ non vedere del bambino l’attenzione alle cose, alle loro qualitá proprie. Un apprezzamento da non perdere divenendo adulti, e certo da non sacrificare e abbandonare per divenirlo. Lavora per una nuova consapevolezza dell’adulto: “Quando ridiventeró bambino” é un’opera lucida, che chiama  come un segnavia.

La sua ricerca ed elaborazione sempre sviluppata nelle scelte di vita, nella concreta realizzazione pratica e nello sviluppo di esperienze, lo porta a “vivere la teoresi”, a mettere a fuoco e sviluppare una sua visione concettuale in continuo riverbero con l’impegno pratico, vero campo di studio, di osservazione e di riflessione. Vive e pensa da educatore, da qui è nata la sua pedagogia.

I bambini e gli adulti “padroni del mondo”

Nei suoi numerosi  viaggi Korczak (in Svizzera, Francia, Inghilterra, Palestina, Ucraina, …) visita e osserva istituti educativi modello. Un fascino particolare esercita su di lui la riflessione di Pestalozzi, autore de I Ragazzi di campagna devono imparare a scrivere da noi o noi da loro? Ma anche il lavoro con i bambini abbandonati di Makarenko lo colpisce molto.

Il destino di troppi, troppi bambini é tristissimo, o drammatico. Ma la riflessione del Dottore va oltre considerazioni sociali e politiche circa i meccanismi di oppressione e divisione sciale. Vuole lavorare sulla fortissima incomprensione del bambino da parte degli adulti “padroni del mondo”. E’ l’incomprensione che  si aggiunge alle questioni sociali e sacrifica i bambini, il loro desiderio di vivere la propria vita. Non fa cogliere i loro caratteri propri: il loro essere studiosi tenaci, con sensibilitá e acutezze che superano in profonditá quelle di molte persone adulte.[5] Nelle pratiche diffuse negli istituti educativi e nelle scuole questo, anzi, non viene che raramente riconosciuto.

Il nostro sguardo adulto, alla fine di una stagione di attenzione forte ai bambini (e di realtá diffuse di esclusioni e di violenze) non pare ancora adeguato. Il nostro sguardo competente ed aperto, costruito sui tanti filoni delle scienze umane e dell’educazione che nella seconda metá del XX secolo si sono occupati delle bambine e dei bambini,  si è concentrato sul loro sviluppo, sull’età evolutiva.

Ha tolto i bambini, certo, dall’antica cultura che vedeva nell’infanzia l’incompiutezza, che non ne coglieva il proprio e pieno valore. Quest’ultima mancava dell’adeguata attenzione, oltre che di riconoscimento. Ma, forse, oggi dobbiamo fare attenzione a un “senso comune” che guarda ai bambini come a organismi autonomi, con bisogni da soddisfare e potenzialità e prestazioni da allenare, come oggetti di didattiche, di cure sanitarie e di strategie alimentari, come portatori di diritti. Autonomi e separati.

Tutto questo pensato e sentito come fuori da relazioni e legami, dall’appartenenza e dalla dinamica generazionale, dai vincoli e dalle responsabilità di figli, di nipoti, di fratelli maggiori, di cittadini attivi. Ma è solo da dentro la trama dei vincoli intergenerazionali che può esprimersi la novità, la capacità  di “rimettere al mondo il mondo” loro propria.

[1] J. Korczak, Le regole della vita. Pedagogia per giovani e per adulti, mimesis, Milano, 2017, p. 18.
[2] L. Giuliani, Korczak, l’umanesimo a misura di bambino, Il Margine, Trento, 2006, p. 85.
[3] K. Rupschky, Pedagogia nera. Fonti storiche dell’educazione civile, Mimesis, Milano, 2018; G. Riemer, Educazione alla morte. Come si crea un nazista, Castelvecchi, Roma, 2021.
[4] D. Arkel, “La voce di Janusz Korczak”, cit., p. 51.
[5] A. Leverin, “Janus Korczak: pedagogista innovatore”, presentazione a J. Korczak, Come amare il bambino, Emme ed, 1979, p. 5.

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