
(J. Korczak, Le regole della vita. Pedagogia per giovani e per adulti, 1929)
Ogni bambino ed ogni bambina è in principio. E’ sempre origine, in principio: continua e fragile origine, forte origine. Ogni bambino e ogni bambina si pongono di fronte a chi volge loro il palmo della mano (o punta un’arma) e sollecitano a scorgere in profondità quella “esperienza umana che mette in scena vicende singolari nel teatro di una storia sempre imprevedibile, sorprendente”[1]. Anche terribile.
Loro stessi, i bambini, iniziano a tracciare presenze e avventure nel mondo dal profondo del sentire dei loro corpi di bisogno e di desiderio. Un profondo sentire le vibrazioni, le promesse, i gemiti e le attese: delle cose, dei viventi, di donne e uomini. Da lì fanno nuove le cose: cogliendone vita, resistenze, incontro, disegnando distanze, vicinanze e racconti.
Sono come l’incipit biblico: dove in principio è anche, e piuttosto, in profondità.[2] La loro novità non ha i tratti di un passaggio oltre, non soltanto almeno. Si mostra grazie alle esplorazioni, alle rigerminazioni, agli scavi che tornano ad emergere dal profondo. Ogni bambino e ogni bambina è nuova, originaria intensità della vita: tesi a mostrare il nuovo, il fondo e l’avvenire. Ad aprire ancora stupore.
C’è bisogno della diversità dei bambini, riconosciuta come diritto e come un carattere necessario e prezioso dell’umano. Diversità di sguardo e di intensità di corpi e di esperienze nel mondo della vita. Sguardo che si posa e che trapassa, che va oltre (come gli sguardi di gesubambini e marie delle icone bizantine). Sguardo che coglie e che fissa il gioco di un presente di promesse, di cui colgono anche ombre e durezze nascoste e dissimulate.
Intensità di fedeltà e intensità di coraggio, di resistenza.
I bambini hanno bisogno degli adulti, soprattutto gli adulti hanno bisogno dei bambini. Janusz Korczak, anche su questo tema, “rimane in una categoría a sè stante tra i pedagogisti di ogni tempo”.[3]
Nel lavoro attento con i bambini, il loro ascolto è necessario: permette di riportare il pensiero “nell’aurora”; in una sorta di relazione originaria, fuori da conformismi, da ansie di controllo. Con i bambini si incontra l’irreversibile e lo si oltrepassa (loro sanno della consegna, e del perdono). Con i bambini si incontra l’imprevedibile e lo si attraversa (loro fanno esperienza della disposizione reciproca, della promessa).
Grazie al bambino noi impariamo a diventare donne e uomini migliori, a riconoscere le emozioni, ad esempio, a condividerle. Questa è la strada indicata anche nei libri e negli incontri da Korczak. Per questa crescita in risonanza e in reciprocità tra le generazioni ogni bambino porta la sua “competenza”: come quella di segnalare ciò che si prova e come riconoscere negli altri ciò che essi provano. È fondamentale questa competenza, come lo sono gli atteggiamenti educativi agiti dagli adulti, perché si puó dare una piena e positiva vita emozionale, condivisa tra adulti e bambini, una vita che fa tutt’uno con i comportamenti intellettivi, affettivi, sociali, morali.
Non è l’unica competenza che portano i bambini. Prezioso è il loro ricondurci ad una fondamentale ed originaria esperienza del tempo: “dai bambini impariamo che il tempo non è un contenitore, ma un evento vissuto, anzi una serie di eventi e di esperienze relazionali, una serie di scelte che ci aiutano a crescere con gli altri e in mezzo agli altri”.[4]
L’attenzione al valore autonomo della vita del bambino, della sua attività di gioco, di esplorazione del mondo, degli altri, del suo sentire e del suo con-sentire, della sua interioritá e del suo “trafficare” con le domande grandi e piccole, e con il mistero (nei silenzi e nei dialoghi, continuamente riaperti da domande), puó rappresentare una sorgente ed una delle motivazioni forti (e delle leve) per una radicale ricostruzione del mondo.
Mondo che ora è tutto nelle mani (e nelle menti e negli orientamenti del sentire) degli adulti. Per ritessere e muovere la convivenza a partire da sguardi e condizioni che attendono una novitá nella relazione fraterna, nella giustizia, nella pace, nella attenzione alla belleza e alla cura occorre sentire l’infanzia.
L’opera, cioè a dire la vita, la esperienza l’ampia messe di scritti e di incontri di Janusz Korczak, giá da giovanisismo fino alla etá nella quale amava definirsi “vecchio Dottore”, si disegna e si offre su questo orizzonte.
In questo senso, per chiarire la prospettiva e provocare la riflessione, sostiene che il bambino è “una persona nostra pari”. Lui, quell’essere che è oggi, non quello che sarà. Ogni bambino e bambina è una risorsa unica, specifica, di valore proprio, ora nella convivenza. Non è solo un soggetto degno di attenzione, di studio o di sostegno. E’ medico, Korczak, sa bene del peso di patologie ed ereditarità, dei problemi legati all’imperfezione della natura umana. Contro questo lottano scienza genetica, medicina e psichiatria.
Ma gli adulti, le convivenze, hanno bisogno di cogliere specificitá del sentire la realtá e di vivere le emozioni dei bambini. Ci vogliono educatori che colgano, empatizzando, il “rallegrarsi e rattristarsi in maniera infantile, l’amare e irritarsi, offendersi e vergognarsi, temere e avere fiducia”.[5] Perché la pienezza del loro sentire possa essere da loro sviluppata nel rapporto con la vita, e gli ambienti, e le relazioni con gli adulti. E diventi ricerca e posizionamento nel mondo, attiva responsabilitá e orientamento a scelte su criteri di valore grandi.
Nessun illusorio paidocentrismo nel vecchio Dottore. Tra bambini (e più piccoli e più grandi), tra bambini e adulti va costruito un ambiente educativo ricco ed esigente. Va garantita la libera espressività, il rispetto reciproco, la collaborazione, un’esperienza di “convenzione sociale”, e anche di attraversamento dei conflitti. Deve essere possibile il ristabilimento dei legami quando rotti.
In continuo e quotidiano contatto e lavoro, sociale ed espressivo, con gli adulti. In modo che si realizzi quella che si potrebbe chiamare una esperienza di soglia, intergenerazionale e sociale, in cui le memorie e il peso del passato sono rivisitati, e i futuri possibili intravisti, insieme ai criteri per scegliere tra possibile e possibile. Esperienza “povera” e non sovraccarica di esemplaritá, ma vera e concreta per le persone e le comunitá coinvolte.
[1] A. Reginato, “Il nuovo é sempre ‘in principio”, in Servitium, III, 254 2021, p. 15.
[2] L. Alonso Schokel, Dov’é tuo fratello?, Paideia, Brescia, 1987, p. 27.
[3] D. Arkel, “La voce di Janus Korczak” in Zeroseiup, n. 4/2021, p. 51.
[4] R. Gay, Il codice delle emozioni. La crescita affettiva, Ancora, Milano, 2001, p. 154.
[5] J. Korczak, Come amare il bambino, Emme ed., 1979, p. 6
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