Madelein Delbrêl è una credente che ha saputo delineare una forma di spiritualità del quotidiano utile per mostrare anche oggi – in un contesto radicalmente diverso – una via possibile della testimonianza cristiana nella città “plurale”.
Madeleine nasce il 24 ottobre del 1904 a Mussidan, nella regione centro-occidentale della Francia, in una famiglia borghese e poco praticante. È figlia unica. Suo padre, impiegato nelle ferrovie, si trasferisce spesso da una città all’altra; perciò Madeleine non può seguire un corso di studi regolare. Dopo la fanciullezza, abbandona la pratica religiosa tanto che nel 1919 dichiara di essere completamente atea. A 17 anni scrive un testo “Dio è morto…viva la morte” di una straordinaria lucidità. Si prefigge l’obiettivo di “smascherare l’assurdo”, la fede consolatrice.
Nessuna sapienza umana è in grado di soddisfare i suoi tragici perché sul dolore, sulla malattia, sulla guerra, sulla vecchiaia, sulla morte. In lei “convivono lucida disperazione e amore della vita” (Boismarmin). Un’amica ricorda: “Seguivamo insieme i corsi di filosofia alla Sorbona di Parigi. Uscendo, un giorno, con la testa imbottita di tesi e antitesi, risalivamo boulevard Saint-Michel scambiandoci le nostre impressioni. Ne venne fuori una grande decisione, in sintonia con la primavera che adornava di fiori l’incrocio Medici, con gli alberi verdeggianti del Lussemburgo, sotto un sole abbagliante: quella di restare sempre giovani qualunque cosa accadesse, quanti mai anni passassero…. Essere giovani, ecco la nostra vocazione. Lei ha mantenuto la parola”.
A diciott’anni s’innamora: lui, Jean, è alto, sportivo, serio, pieno di interessi, intellettualmente e politicamente impegnato ed evidentemente dotato di una profonda vita spirituale. Fanno coppia fissa ma improvvisamente il ragazzo scompare: sconvolta, Madeleine viene a sapere che Jean è entrato nel noviziato dei domenicani, ed è una separazione assoluta. Non capisce. Il suo anticlericalismo si riaccende violento, e per di più anche in famiglia la sofferenza dilaga: il papà di Madeleine — poeta mancato — diventa cieco. “In quel momento», confessa, “avrei dato tutto l’universo, pur di sapere che cosa ci facevo dentro!”.
Nel 1924, a vent’anni, il cambiamento. E’ il ricordo della bella umanità di Jean e di altri amici conosciuti in quel periodo felice:
Non erano nè più vecchi, né più stupidi, né più idealisti di me, che vivevano la mia stessa vita, discutevano quanto me, danzavano quanto me. Anzi, avevano al loro attivo alcune superiorità: lavoravano più di me, avevano una formazione scientifica e tecnica che io non avevo, convinzioni politiche che io non avevo… Parlavano di tutto, ma anche di Dio che pareva essere a loro indispensabile come l’aria. Erano a loro agio con tutti, ma – con una impertinenza che arrivava fino a scusarsene – mescolavano in tutte le discussioni, nei progetti e nei ricordi, parole, idee, messe a punto di Gesù Cristo. Cristo avrebbero potuto invitarlo a sedersi, non sarebbe sembrato più vivo…».
E’ una conversione violenta. Fatta nel nome del Vangelo e grazie all’incontro con un grande prete, l’abbé Jacques Lorenzo. Sarà lui a riavvicinarla al mistero del Dio-Crocifisso, un Dio che non se ne sta lassù a guardare dal cielo le sofferenze umane, ma che si fa “compagno” del dolore degli uomini condividendolo nella carne. Madeleine racconta così la propria conversione: Triste, angosciata, inquieta… decisi di pregare… non potevo più lasciare Dio nell’assurdo“. E la preghiera la conduce dal Nulla del mondo al Tutto di Dio.
A vent’anni fui letteralmente “abbagliata da Dio” – confesserà anni più tardi – ciò che avevo trovato in Lui non l’avevo trovato in nient’altro”. Ed ancora: “E’ l’abate Lorenzo che, per me, ha fatto esplodere il Vangelo… Esso è diventato non soltanto il libro del Signore vivente, ma il libro del Signore da vivere”.
Un Signore che scopre stare dalla parte della vita. Il suo slogan non è più: “Dio è morto viva la morte!” bensì “Dio vive, viva la vita!”. La sua ossessione per la morte cede il passo ad una passione per la vita. E insieme la scoperta che Dio non nega tutto questo. Danza, poesia, musica, letteratura, teatro, filosofia…
“Ormai considero la vita come i preludi delle splendide sonate che si aspettano in seguito. Nel preludio è già contenuta tutta la loro potente ricchezza”. Ora che vede la vita in questo modo “ogni minuto acquista un’importanza singolare”.
In quella stagione (siamo nel 1925, anno delle canonizzazione di Teresa di Lisieux), la ricerca di fede porta Madaleine a pensare al Carmelo. Vi rinuncia anche per poter assistere i suoi genitori malati. Ma se questo non è possibile, allora ne segue inevitabilmente che il mondo dovrà diventare il suo Carmelo, il suo monastero.
Prega molto, si applica a vivere il Vangelo. Ed è lasciandosi plasmare, trasformare dal Vangelo che Madeleine trova quella che potrà essere la sua strada. Con una convinzione che la seguirà per tutta l’esistenza: “la fede non deve essere vissuta per essere donata – perché la fede è dono di Dio, non nostro – ma per farla esplodere in noi, per manifestare i contenuti del suo messaggio.” (Paolo Giuntella).
Con il gruppo di una ventina di ragazze scout con la quale lavora intensamente passa a formare un gruppo detto «Carità», nel ricordo dell’impresa di san Vincenzo de’ Paoli che aveva dato questo nome alle comunità di donne che si prendevano cura dei malati e degli emarginati. Ha un progetto che a poco a poco le si delinea chiaramente:
Essere volontariamente di Dio, quanto una creatura umana può volere appartenere a colui che ama. Essere volontariamente proprietà di Dio, nella stessa maniera totale, esclusiva, definitiva, pubblica con cui lo diviene una religiosa che si consacra a Dio». L’obiettivo è di «far calare i consigli evangelici nella vita laica, votarsi cioè alle beatitudini in un dono totale di sé, non per vivere tagliata fuori dal mondo ma nel mondo».
Come vivere lo spirito delle Beatitudini nel cuore di un mondo ignorante di Cristo, senza essere obbligati da certe disposizioni istituzionali a separarsene? L’esigenza missionaria di Madeleine richiede più elasticità e più disponibilità di quanto le forme e le istituzioni ecclesiali lasciano allora presagire. Occorre, invece, immaginare forme future di una nuova vita comunitaria e religiosa.
Siamo in un tempo – anni trenta del ventesimo secolo – in cui l’accostamento di questi termini sembra ancora strano; non esistono ancora i moderni «istituti secolari» e non si immagina nemmeno la possibilità di una vita comune tra cristiani laici. Madeleine insiste su questa strada e sceglie un lavoro che la possa tenere a stretto contatto con i poveri, assoggettandosi agli studi necessari per divenire assistente sociale.
Nel 1933, pur restando laica, decide di consacrarsi al Signore e qualche tempo dopo va a vivere con un piccolo gruppo di amiche a Ivry-sur-Seine, cittadina di operai alla periferia sud di Parigi, nota per la massiccia presenza di comunisti. A Ivry Madeleine si confronta con un marxismo trionfante.
Ivry è “la capitale politica del Partito Comunista Francese”, sede del segretario generale del partito. Sugli edifici pubblici non c’è il tricolore, ma la bandiera rossa. I muri sono tappezzati di manifesti che invitano a film sovietici, conferenze ideologiche, battesimi civili, pasque rosse, e simili. Ci si saluta col pugno alzato.
Dopo qualche diffidenza iniziale (all’inizio le tre donne dell’equipe vestono con una divisa simile agli scout ma capiscono di essere “pinguini” e scelgono abiti comuni per confondersi tra la gente e poco dopo lasciano la casa offerta loro dalla parrocchia perché, in cambio dell’alloggio gratuito, sono fagocitate dentro gli impegni parrocchiali) l’amministrazione comunista le offre un lavoro come assistente sociale: lei accetta e, giorno dopo giorno, ha la possibilità di scoprire quella miseria e quell’ingiustizia tanto combattute dai suoi «amici-avversari». Scopre che i cristiani sono rassegnati all’ingiustizia e che molti dei proprietari delle 310 fabbriche della città sono cattolici che versano somme ingenti per la costruzione delle due nuove chiese ma ignorano deliberatamente la miseria dei quarantatremila operai delle loro fabbriche.
Alla luce del Vangelo, meditato ogni giorno, matura una chiara distinzione fra l’ideologia marxista, da rifiutare nettamente, e le persone concrete, che meritano attenzione e amore qualunque sia la loro militanza politica. Lotta a fianco dei comunisti in favore dei poveri e della giustizia, senza però confondere l’emancipazione del proletariato con l’ideale evangelico.
Scopre la dura realtà in cui vivono molte famiglie di operai, ma anche la generosità di numerosi militanti comunisti, con i quali collabora. La questione dei rapporti tra cattolici e comunisti non è teorizzata o discussa da Madeleine, ma risolta di schianto in base a un semplicissimo principio: «Dio non ha mai detto: Amerai il prossimo tuo come te stesso, eccetto i comunisti», perciò c’è solo da accogliere l’evidenza: i comunisti sono di fatto «il suo prossimo» più immediato. Perciò non li evita, come raccomandano i benpensanti, ed è pronta a riconoscere quel che c’è di buono – come aspirazione alla giustizia e dedizione reciproca – in quei rudi militanti della prima ora. Rimane colpita dal fatto che in questo difficile contesto la Chiesa sia quasi del tutto assente. Le parrocchie sono ripiegate su se stesse, con una fede che lei giudica atrofizzata, mutilata.
Con questi travagli, l’identità del gruppo si precisa. Nel 1938 Madeleine scrive un testo programmatico che resterà celebre. È intitolato: «Noi, gente della strada» e proclama che ci sono cristiani per i quali «la strada» – cioè: il pezzo di mondo in cui Dio, di volta in volta, li manda – «è il luogo della santità», come lo è il monastero per le persone consacrate. E’ la vocazione specifica della «gente qualunque», in un «luogo qualunque», che svolge «un lavoro qualunque», assieme ad altri «uomini qualunque» e che, tuttavia, «si tuffa in Dio» con lo stesso movimento con cui «si immerge nel mondo».
Ma dove trovare il silenzio che le claustrali custodiscono nei loro monasteri? Madeleine spiega che nel mondo non è certo difficile trovare «ammassi umani dove l’odio, la cupidigia, l’alcool segnano il peccato», ma proprio qui diventa possibile esperimentare «un silenzio di deserto nel quale il nostro cuore si raccoglie con facilità estrema». E dove trovare la solitudine? Risponde: «La nostra solitudine non è essere soli… La nostra solitudine è incontrare Dio dovunque». Insomma, come nota acutamente Sicari, a Madeleine Gesù non dice soltanto: «Seguimi!», ma: «Seguimi in strada!», e le chiede di camminare con Lui, a fianco di tutti i poveri della terra, soprattutto di quelli che non sanno più dove portino i sentieri dell’esistenza.
Se, dunque, il monastero è per lei semplicemente il mondo – senza distinzione tra spazi sacri e profani -, nemmeno la preghiera deve più distinguersi dall’azione, non perché si dimentichino i tempi dell’orazione, ma perché anche l’azione diventi preghiera. A chi le obietta, secondo una mentalità assai diffusa, che non è possibile essere tutti di Dio quando si è chiamati a vivere da laici, in mezzo al mondo, Madeleine ribatte:
Non è concepibile che un Dio onnipotente, mentre vuole essere amato, dia ai suoi figli una vita nella quale non possano amarLo». Scrive: «Ogni piccola azione è un avvenimento immenso in cui ci è dato il paradiso e in cui possiamo dare il paradiso. Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere a macchina. Tutto questo non è che la scorza di una realtà splendida: l’incontro dell’anima con Dio, incontro ogni minuto rinnovato, ogni minuto che diventa, nella grazia, sempre più bello per il proprio Dio. Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci. Una informazione?… Eccola: è Dio che viene ad amarci. È l’ora di mettersi a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci. Lasciamolo fare.
Non si può capire Madeleine senza il contesto di quella rinascita evangelica che percorse il cattolicesimo francese negli anni ’40 e ’50 e preparò le vie al Concilio. In quegli anni il card. Suhard, arcivescovo di Parigi, con grande acutezza intuisce che la Francia sta diventando «terra di missione» e dichiara: «Un muro divide la Chiesa dalle masse. Bisogna abbatterlo a ogni costo per riportare a Cristo le folle che lo hanno smarrito».
Per demolire lo steccato che separa la Chiesa dalla classe operaia, Madeleine Delbrêl decide di condividere la vita nella banlieu di Ivry. “Per vivere la carità di Gesù in mezzo ai poveri, “prigioniera di Cristo”, della sua vita, del suo pensiero, del suo slancio, ma libertà della libertà stessa di Dio” (Giuntella). La sua casa – il famoso “numero undici” di Rue Raspail – una casa come tutte le altre, come le case della gente ordinaria, sarà un luogo aperto a tutti e dove sarà accolto chiunque (altre case nasceranno poi a Longwy tra i minatori, a Parigi, a Tizi Ouzou in Algeria e in Costa d’Avorio).
Non si propone né di convertire né di lanciare anatemi ma semmai, sulla scia dell’amato Charles de Foucauld, “di gridare il vangelo con la vita”. Conduce la vita ordinaria degli uomini e delle donne del quartiere guadagnandosi stima e fiducia. Con le sue amiche sceglie di essere pienamente laica, semplice cristiana, legata a Gesù Cristo dal vincolo del battesimo.
La piccola cellula evangelica non pensa ad emettere voti ma vuole mettere al centro della vita i precetti del Vangelo. Queste donne, né individualmente né collettivamente saranno proprietarie e sceglieranno sempre la condizione da salariate con preferenza per incarichi modesti, dandosi l’impegno di non fare in alcun modo carriera. La vita comune è fondata sulla condivisione e sulla carità fraterna: la vita di preghiera, che si vuole intensa, sarà vissuta il più delle volte in solitudine. Unico elemento istituzionale è un ricorso comunitario al Vangelo. Ogni settimana si dedicherà una serata ad accoglierne insieme gli insegnamenti e a confrontare con esso la vita.
Tentata per un attimo dall’idea di creare un nuovo Ordine religioso, vi rinuncia. Su richiesta di mons. Veuillot, in seguito Cardinale Segretario di Stato di Paolo VI, che le chiede che cosa pensa «lei stessa, per lei stessa?» scrive, di getto, un testo in cui le frasi si susseguono tutte ritmate da un appassionato: «Avrei voluto…». «Avrei voluto unicamente, appartenere interamente ed esclusivamente a Gesù, Nostro Signore e nostro Dio; avrei voluto provare a vivere il suo Vangelo, essere completamente disponibile alla sua volontà, nel più intimo della Chiesa e per la salvezza dell’uomo… Avrei voluto che ciò bastasse a spiegare tutto».
Senza saperlo, però, Madeleine non sta soltanto offrendo alla Chiesa un fedele in più che prende sul serio la vocazione alla santità: sta descrivendo un «nuovo tipo di cristiano» che non sopporta più la fede rattrappita, imborghesita, ridotta a buoni sentimenti, a “mentalità cristiana”, a pura eredità familiare, a proprietà sociale, e che riduce il Vangelo a un libro di massime moralistiche, di buonsenso comune. Donna di passione e di lotta, di preghiera e di contemplazione, Madaleine viene invitata spesso a parlare della sua testimonianza in vari gruppi in tutta la Francia. Soffre molto per le tensioni sorte a proposito dell’esperienza dei preti-operai: si inquieta per le imprudenze di alcuni di loro, ma anche per il rifiuto pregiudiziale che certi ambienti ecclesiastici dimostrano per questo nuovo tipo di missione. Quando l’esperienza viene bloccata da Roma, ella ne è rattristata ma invita tutti i suoi amici all’obbedienza filiale verso la Chiesa e li incoraggia a mantenere viva la speranza.
Madaleine muore il 13 ottobre 1964, mentre si sta celebrando il Concilio Vaticano II indetto da Giovanni XXIII, un papa che lei apprezza molto per la sua coraggiosa semplicità. Nel suo messale, le compagne trovano alcune parole risalenti a dieci anni prima, e da lei scritte per commemorare il trentesimo anniversario della propria “conversione”:
Io voglio ciò che tu vuoi
senza chiedermi se lo posso
senza chiedermi se lo desidero
senza chiedermi se lo voglio.
Nei suoi documenti viene rinvenuto il suo testamento, sottoforma di semplice consiglio, destinato alle sue amiche:
Vi lascio un parere: non sia il mio ricordo a farvelo seguire… poiché il mio augurio è che voi siate veramente libere”.
Leggi anche:
Rocchetti