
Al di là delle uova di cioccolato, dei pulcini, dei fiori di pesco, non rimane molto.
Il più grande evento cristiano, la resurrezione di Gesù, appare cosa lontana, tanto che si fa di tutto per neutralizzarla e renderne equivoco il significato: si progettano vacanze, gite fuoriporta, competizioni sportive… soprattutto è cosa che non interessa.
D’altronde anche i Vangeli testimoniano la fatica di questa fede.
Già la croce era “scandalo per i Giudei e follia per i Greci”, ma peggio è la resurrezione, se ci atteniamo alla testimonianza degli Atti degli Apostoli, quando Paolo nell’Areopago deve subire uno scacco quasi totale di fronte agli Ateniesi che, all’annuncio del Risorto, rispondono: “Ti sentiremo un’altra volta” ( At17,32).
L’evento ella resurrezione rimane misterioso. Appartiene all’orizzonte di Dio.
Non per questo non è accessibile.
Ciò che si vede è il sepolcro vuoto. La sola esperienza è quella dell’assenza.
Comunque nessuno l’ha raccontato.
Ciò che si vede è il sepolcro vuoto.
La sola esperienza è quella dell’assenza.
Le pie donne, scrive Marco, nel primo giorno dopo il sabato, davanti alla grande pietra ribaltata, “fuggirono piene di spavento” e neppure ascoltarono ciò che “il giovane vestito di bianco” diceva loro: “Voi cercate Gesù il Nazareno, il Crocifisso. È risorto, non è qui”.
“Ma esse andarono via in fretta dal sepolcro e non dissero niente a nessuno, perché erano piene di paura”. (Mc 16,8)
Così, bruscamente, termina il Vangelo di Marco.
Eppure c’è il centurione, un anonimo soldato romano, che comprende: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio”.
Un pagano, non un giudeo, non un discepolo, non come Maria di Magdala che insieme alle donne si recava alla tomba con gli aromi per imbalsamare Gesù e così “rinchiuderlo” per sempre consegnandolo ai posteri.
Ancora oggi, e forse sempre, il fraintendimento delle donne è in agguato e ci fa capire quanto difficile sia la fede, quando vogliamo sistemare Cristo dentro i nostri parametri e ridurre la novità della resurrezione negli schemi delle proprie precomprensioni.
Paurosi non si testimonia. Arroccati non si annuncia. Chiusi in se stessi non si comunica
La soluzione diventa la chiusura: si costruiscono barricate interiori, si alzano steccati. Ci si rinchiude in norme e prescrizioni, svuotate della potenza dello Spirito, o ancora, ci si erge con arroganza quale detentori della verità, anziché diventare continui cercatori.
Ma paurosi non si testimonia.
Arroccati non si annuncia.
Chiusi in se stessi non si comunica.
“Egli vi precede in Galilea” (Mc 16,7).
C’è un futuro da affrontare, c’è una storia che continua, la nostra vita da convertire.
Nessuna unzione di cadavere, ma la gioia della bella notizia da testimoniare.
C’è soprattutto un corpo da cercare, il corpo del Risorto nei corpi di tanti poveri, oppressi, sofferenti e vittime della storia. Un corpo, non un fantasma o un puro spirito. Altrimenti la fede diventa una fuga spiritualistica, che non ha niente a che vedere con la concretezza della fede ebraico-cristiana.
C’è da cercare il corpo del Risorto nei corpi di tanti poveri, oppressi, sofferenti e vittime della storia
Il Cristo va seguito, conosciuto, toccato, amato, dentro le nostre vite ferite, le nostre relazioni spesso faticose e lacerate, dentro la nostra carne umana che vive sotto il segno multiforme del limite.
Questa è la fede pasquale: non una luce abbagliante che risolve una volta per tutte la nostra cecità, ma una ricerca umile senza presunzioni, senza arroganza, ma nell’obbedienza alla Parola che è l’incontro con il Risorto nel corpo offeso dei nostri fratelli.
Ada