“Che senso ha celebrare il Natale oggi?”. E’ la domanda che ha aleggiato su molte delle nostre celebrazioni di questi giorni. Domanda scontata, ma importante. Anzi: siccome è scontata, si deve pensare che giace, spesso inavvertita, nelle molte cose dette e fatte in questi giorni. Che senso ha, dunque, celebrare con tutta questa enfasi il Natale di Gesù di Nazaret?
La prima sensazione è che tutto questo festeggiare sia un po’ strano, nella concreta situazione di questo tempo, di fine 2022. Il Natale celebra l’inizio della vita, una nascita, appunto. E non una nascita qualsiasi: nasce uno che non avrebbe bisogno di iniziare a vivere, perché vive da sempre. Dunque, con una espressione da teologia da strapazzo, potrebbe dire che Dio non aveva bisogno di nascere per affermare la sua divinità. Eppure, nasce. (Si dovrebbe dire: è nato, allora, 2000 e più anni fa. Ma i misteri del Dio cristiano posseggono una loro misteriosa attualità. In che senso e in che modo sono sempre attualit? Ai posteri – o meglio ai competenti – l’ardua sentenza. Noi ci accontentiamo, dalla retrovia della cultura teologica, di prendere atto). Dunque: nasce, inizia a vivere.
Oggi non è l’inizio della vita che si impone alle nostre attenzioni, ma la sua fine
Nelle nostre preoccupazioni di questi giorni, di queste settimane e di questi mesi, non è l’inizio della vita che si impone alle nostre attenzioni, la ma sua fine. Nei giornali, nei telegiornali, nel mare di internet dominano notizie di guerre, di scontri, di incidenti. Perfino nel discorso Urbi et Orbi di papa Francesco è la guerra che la fa da padrona. Anzi, quel discorso si è impegnato a ricordare non soltanto la “solita” guerra in Ucraina, ma le molte altre guerre, ancora più dimenticate proprio per l’invadenza della guerra “insensata” (così l’ha definita papa Francesco) a casa nostra, in Europa. Dunque: in questi giorni è la fine della vita che fa notizia, non il suo inizio.
Da lì derivano in folla tutte altre forme di invadenza: oggi parliamo soprattutto del passato, da cui quella guerra proviene (stavo dicendo: da cui quella guerra è nata. Avrei usato l’immaginario della nascita per dire che è arrivata la morte). E parliamo di un passato duro da ricordare, senza la nostalgia che è il belletto che lo rende attraente. Il nostro passato è soltanto brutto: ci ha portato la guerra. Inoltre e di conseguenza, parliamo pochissimo del futuro. Sia perché siamo troppo occupati a parlare del passato, sia perché il futuro, con questo passato che ci preme addosso, non riusciamo a immaginarlo consolante. Possiamo sognarlo, il futuro bello, soltanto sognarlo.
Raramente ci è toccato di trascorrere un Natale così forzatamente bello e così forzatamente fantastico
E così siamo costretti al nostro presente. Dove si sta nella festa accettandola come fugace e, insieme, fantastica. Possiamo far festa solo per poco tempo e soltanto sognarla. Raramente ci è toccato di trascorrere un Natale così forzatamente bello e così forzatamente fantastico.
L’unica cosa da dire di fronte alla gioia fuggevole e al sogno di questa strano Natale, è che il Bambino di Betlemme nasce sempre e quel Bambino è proprio un bambino ed è proprio deposto in una mangiatoia. E’ la stabile verità del Natale. Ma è verità ed è stabile soltanto per chi la accoglie, la sa vedere e sa meravigliarsi.
Ecco: lo spazio della meraviglia si sta assottigliando. I pochi credenti che ci credono davvero si sentono impegnati, nei limiti delle loro forze, a non lasciarlo morire.
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