Tanto… sono tutti uguali

Un’ostinata speranza
Ottobre 17, 2024
Potere e servizio
Ottobre 20, 2024
Vedi tutti

Tanto… sono tutti uguali

"... e la politica gode continuando a restare ingiudicata sullo scandalo che più la chiama in causa: l’appartenenza comune dei beni di questo mondo"

Un tempo la Chiesa faceva politica. Oggi tace.
Così emerge la convinzione che non serve fare meglio e di più. Ci si limita a difendere quello che si ha.
E la Chiesa benedice la convinzione corrente: sono tutti uguali

Un tempo si accusava la Chiesa, specie laddove era potente, di fare politica. E poteva anche essere vero perché si giungeva a volte fino a dare dal pulpito indicazioni così specifiche e cogenti che si sostituivano al fedele e prescindevano da qualsiasi giudizio storico su cui deve basarsi la scelta di chi deve necessariamente mediare tra i valori per costruire la città di tutti gli uomini. Oggi la Chiesa tace e sembra accreditare l’idea che “tutti sono uguali”, e, anzi, ci crede. Tutt’al più sceglie il pronunciamento “caso per caso”, che però prescinde dalla natura architettonica, e non parziale, della politica. 

Oggi più che difendere i poveri si difende il ricco che siamo diventati

Ma ora come allora la pericope del giovane ricco, che si allontana da Gesù perché atterrito dall’invito a “vendere tutto quello che ha e darlo ai poveri” (l’abbiamo ascoltato nel vangelo della domenica scorsa: Mc 10,17-30), disturba i fedeli. Allora, quando era tenuta viva dai poveri che erano in maggioranza, essa era considerata pericolosa perché vi si poteva vedere un’apologia di comunismo, magari ateo; ora, quando i poveri da noi sono in minoranza (per quanto ancora?), scatta la difesa di quel ricco che siamo diventati, che teme di perdere quello che ha nell’incertezza del difficile momento storico. Lo si vede nel caso del fisco italiano.

Anche la nostra cosiddetta “buona stampa”, quando viene avanti l’idea d’una patrimoniale (solo per i super-ricchi, beninteso), invita a tassare altre ricchezze non personali

Anche la nostra cosiddetta “buona stampa”, quando viene avanti l’idea d’una patrimoniale (solo per i super-ricchi, beninteso), invita a tassare altre ricchezze non personali, e quando si parla di tassa (o di “contributo”, che suona meglio) per enti finanziari o industrie che hanno fato eccedenti profitti, trova sempre l’anfossatore di turno che agita lo spettro della fuga di capitali o di ritorsioni. Facendosi “eco” del comodo immobilismo.

In ogni caso quella pericope resta pietra d’inciampo; e spesso si preferisce scantonare dalla sua impegnatività e si preferisce commentare magari la lettura veterotestamentaria della stessa domenica, sulla sapienza (Sap 7,7-11: testo bellissimo, ma quanto più comodo da maneggiare!) o la lettura neotestamentaria sulla parola di Dio (Eb 4,12-13), efficace e tagliente come una spada – è vero -, ma scollegabile dall’invito alla povertà che la renderebbe veramente acuminata. Oppure ci si alza sul cielo della teoria dell’avere e dell’essere (che fa tanto finezza antropologica); oppure la si scavalca del tutto, magari approfittando degli inizi dell’anno pastorale che è più importante sottolineare.  

La politica dimentica che i beni di questo mondo appartengono a tutti

Tutto vero e tutto giusto. Ma si perde così una delle uniche occasioni annuali di affrontare il modo di rapportarsi alla ricchezza e alla sequela. E la politica gode continuando a restare ingiudicata sullo scandalo che più la chiama in causa: l’appartenenza comune dei beni di questo mondo. 

Col silenzio si avvalora l’idea che “tanto, tutti sono uguali”. È il tarlo che corrode la politica oggi ed è difficile sottrarsi a questa convinzione. Ed è ciò che fa salire il disimpegno e l’astensionismo. Certo, ci sono validi motivi: la percezione che la politica sia esautorata da forze più potenti (soprattutto dalla finanza) che la tengono incatenata ad una catena corta: sicché ogni partito deve fare le stesse cose, quelle che comanda l’economia.

Dilaga la paura del nuovo e il disprezzo dei progetti a lungo termine. Le ideologie sono diventate ferri vecchi

C’è la paura di perdere che è la paura radicale, ancora più forte della mancanza originaria, come per Faust che cede a Mefisto perché ha paura di perdere Margherita quando ne ha assaporato le bellezze. E qui fanno leva le forze che amano lo status quo che aizzano le paure del nuovo, gonfiandone a dismisura la pericolosità. Si crea così quella percezione distorta del pericolo rispetto alla sua realtà, che tanto si affatica a denunciare con i suoi acuti sondaggi il nostro Nando Pagnoncelli.

E c’è anche la caduta delle ideologie, che nella globalizzazione vengono viste come un impaccio della economia e perciò i partiti che vi si nutrono sono arnesi inutilizzabili, anzi nocivi alla crescita. Quante volte il termine “ideologico” è usato come offesa e non come progetto fondato su una visione! Sicché meglio sbarazzarsene e tutti diventano uguali; e non si sa chi scegliere se non chi presenta meglio il suo prodotto, non chi l’ha migliore. O chi è più nuovo, perché il vecchio non ha funzionato. E il nuovo si appresta a seguirne a breve la sorte. E fa di tutto per resistere cambiando magari il sistema elettorale.

E’ il degrado. Il Pongo dai molti colori è diventato una pasta grigiastra

Diventa difficile sottrarsi all’idea che “tutti sono uguali”. Fino a qualche decina d’anni fa era molto usata nelle scuole materne, e forse lo è tuttora, quella dolce pasta, o plastilina, da modellare che si chiamava “Pongo”. Era un impasto malleabile di vari colori con cui si plasmavano figure colorate: pappagallini verdi, con zampe e becco gialli, con ali rosse e nere; e altri soggetti animati e inanimati, pieni di colori. Ma dopo un po’ di uso finiva che l’impasto si amalgamava e dava origine ad una pasta uniforme grigiastra dove i colori non si distinguevano più. Ed occorreva sostituirla con nuovi, integri colori. 

È, per me una rappresentazione, veramente “plastica”, della entropia, cioè del degrado degli elementi primi e fondamentali, che nel tempo si assimilano e perdono specificità diventando tutti uguali. Ecco: così mi pare che sia avvenuto alla politica e ai suoi partiti.

Anche nelle nostre Chiese non si usa più la spada a doppio taglio della Parola di Dio

Ma non vuol dire che bisogna rassegnarsi al logorio per frammistione della diversità. Che c’è. Solo che bisogna saper riandare alle varie posizioni con un vero e proprio sforzo di discernimento e recuperare delle forze politiche l’ideologia di fondo che ne fa la maggiore o minore bellezza primigenia. Tutti sono uguali…, ma all’inizio non era così. E la politica deve continuamente tornare agli inizi restituendo i valori fondanti.

Non vedo invece, nemmeno dentro le nostre chiese, chi metta in atto la sapienza per capire le coordinate teoriche della situazione e la prudenza per intenderle nelle sue declinazioni storiche. Non vedo chi usi la spada a doppio taglio che è la Parola di Dio per giudicare e scegliere le decisioni dell’homo politicus. Non vedo, insomma, chi tenga insieme e coordini le due prime letture bibliche del Messale della scorsa domenica e le finalizzi alla lettura evangelica della spogliazione della ricchezza (pericope del giovane ricco), che resta l’obiettivo finale del Regno, a cui la politica è chiamata ad avvicinarsi nel tempo del mondo e nella città dell’uomo, di tutti gli uomini, rispettandone la graduale maturazione ma non esaltandone le inadempienze come sano realismo o come rispetto delle leggi economiche. 

P.S. Chi può, legga l’esemplare relazione di Daniele Rocchetti al recente Convegno provinciale delle ACLI (27 settembre 2024). 

Leggi anche: Pizzolato

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Il periodo di verifica reCAPTCHA è scaduto. Ricaricare la pagina.