
Luca della Robbia, VISITAZIONE
1445, chiesa di san Giovanni Fuorcivitas, Pistoia
Sono in ceramica. L’artista ha impastato la terra con l’acqua; le ha dato forma, l’ha cotta con il fuoco, l’ha immessa nella “vetrina” fatta di stagno, piombo, silice e sostanze alcaline. L’ha poi fatta cuocere di nuovo. Terra, acqua, aria, si sono fuse in unica unità compatta. E’ materia? E’ spirito? Il fuoco è riuscito a fondere tutto. Abilità tecnica, serena visione della vita, fede dolce e ardente si sono amalgamate in questo gruppo plastico, dalla dolcissima e familiare “presenza” .
Mai verrebbe in mente in questo caso di tacciare di “idolatria” (pericolo sempre in agguato anche per il cristianesimo) la collocazione sull’altare di queste due figure. Anzi! Istintivamente vorresti anche tu far parte dell’abbraccio. Quanto sono vere infatti queste due donne! E quanta memoria portano a me di mia madre… e di tante persone che sono entrate nella mia vita!
Tutto qui è sobrio: la composizione, il panneggio, i gesti, gli sguardi. Tutto è ritmo calmo e dolce: la curvatura delle forme, la tornitura delle superfici, la modellazione che non incontra mai soluzione di continuità. E tutto è chiaro.
Senza sdolcinature, senza perdere il necessario sapore e la solidità dei corpi. Senza spegnere l’intensità dei sentimenti.
Anzi! Le figure sembrano fresche e vigorose come due fiori cresciuti l’uno vicino all’altro. Profumano di giovinezza perenne, anche se l’una è la giovanissima Maria e l’altra è la vecchia Elisabetta.
Ma la vera primavera qui sta tutta nella pagina del Vangelo, nella cui calda luminosità Luca Della Robbia è riuscito a immergere anche questa splendida invetriatura bianca, che sa di tutti i colori del mondo fusi insieme.
Ma è ora per noi di staccarci dall’abbraccio spontaneo per stare di fronte alle figure con il Vangelo in mano. Come nel Vangelo anche qui non sono presenti Gioachino e Giuseppe, i loro sposi chiamati con altri percorsi a entrare nel mistero.
Qui invece stanno le due donne, incinte. Il mistero che portano in sé le rende sacerdotesse e profetesse di parole che riempiono loro stesse di stupore. La realtà in cui sono immerse è tanto grande che solo il dirla o il cantarla rivela, o meglio lascia intravedere, i suoi immensi orizzonti. Il “Benedetta tu fra le donne” di Elisabetta e il “Magnificat” di Maria partono dal sussulto del bambino nel grembo di Elisabetta.
Antico Testamento e Nuovo testamento stanno incontrandosi. E le due donne (e qui c’è la grande genialità dell’artista) danno corpo ai due Testamenti. Elisabetta è in ginocchio.
E’ figura del Battista che, infuocato dalla passione di salvare gli uomini, chiama tutti ad un ultimo appello: “Salviamo il salvabile. Il ventilabro sta per arrivare. Il frumento verrà raccolto, ma la pula verrà bruciata con fuoco inestinguibile”. Ed ecco Maria, figura di Gesù. L’umile ragazza di Nazareth, già ormai madre per il grembo fecondo, ha qui la regale leggerezza e la forza di compassione che saranno di suo figlio. Ella sta accarezzando il cieco, sta facendo alzare l’adultera, sta risuscitando Lazzaro, sta consolando la mamma del giovane che portano al cimitero, sta… rivelando al Battista:” Non temere. C’è una salvezza più grande: è la salvezza che sa salvare il povero, lo zoppo, il peccatore … Giovanni, non temere.
Vincerà l’agnello, quello che tu hai indicato al mondo laggiù, sulle rive del Giordano”. A questo punto a tutti noi viene spontaneo intonare il cantico di Maria: “L’anima mia magnifica il Signore!” e chiedere ad Elisabetta di continuare ad accarezzare Maria e di continuare a lasciarsi accarezzare da lei. Quale religione ha mai avuto il coraggio di mettere su uno dei suoi altari l’incontro-abbraccio-devozione tra due madri, l’una vecchia quanto il mondo di prima, l’altra giovane quanto la speranza che sta per scoppiare?