
Si tratta della Rothko Chapel, un luogo “sacro” di preghiera, di meditazione, di pace per persone di ogni fede, aperto a tutte le religioni, ma di nessuna in particolare: nel 1964 una facoltosa e colta coppia la commissiona a Mark Rothko per gli spazi dell’Università Cattolica di Saint Thomas di Huston.
Rothko – da poco riconosciuto come uno dei più rappresentativi artisti del nuovo informale espressionismo astratto – lavora alla cappella dal 1965 al ’70; sarà il suo ultimo lavoro e non lo vedrà concluso: si suicida nel febbraio 1970 devastato dalla depressione, dall’alcol, dal fumo.
La cappella rappresenta l’agonia di una vita tormentata nella costante ricerca di trasposizione del divino nella feriale quotidianità.
La cappella fu inaugurata nel ’71, un anno dopo la morte di Rothko, alla presenza dei più alti rappresentanti delle fedi cattolica, ebraica, buddista, mussulmana, protestante e greco ortodossa.
Rothko volle per la cappella spazio vuoto, pianta ottagonale (come gli antichi battisteri), nessuna finestra e luce dall’alto filtrata da teli: cercava “aura meditativa”.
Per le pitture alle pareti scelse una tavolozza cupa e dipinse 14 tele di grande formato, 3 trittici e 5 quadri.
Come in uno sforzo si ascesi, si privò dell’effetto seducente delle sue usuali nuvole di colore dai margini delicatamente sfumati per creare campiture monocrome sulle tonalità di marrone, forme scure dai contorni definiti.
Nell’alternarsi di baratri di buio con abbaglianti spazi bianchi, i dipinti, nonostante la cupa invadenza, circondano senza rinchiudere. Lo spazio appare fuori dal tempo e accoglie in una prospettiva di infinito.
I dipinti paiono risplendere misteriosamente dall’interno: luce dal più cupo buio.
Rothko ha cercato di raccontare con il solo colore i significati della vita; ha saputo dipingere squarci di speranza e si immerso nel mistero della morte.
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