Il buon samaritano. “Ereditare la vita eterna”

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Il malcapitato percosso a morte
Il sacerdote, il levita…
Eterna attualità della parabola evangelica

Lisbeth Zwerger è un’artista austriaca che ha ottenuto molti premi e riconoscimenti per le sue illustrazioni dallo stile personale, raffinato, pieno d’invenzione.


Il “buon samaritano” raccontato in modo sorprendente

Ci sorprende anche questa sua interpretazione della parabola del buon Samaritano, che si allontana dalla rappresentazione aneddotica dell’episodio e offre molti elementi di riflessione.

Il sentiero raffigurato, in buona parte immerso in un’ombra leggera, esce poi alla luce portando in evidenza ogni azione compiuta lungo la via, Ci colpisce immediatamente il suo colore rosso, antinaturalistico e incongruo. E’ il colore del sangue e della vita: questa è la strada dove si giocano l’avventura e il dramma della libertà.


Il pover’uomo percosso e depredato giace davanti a noi, in mezzo alla via, la attraversa e la sbarra col suo corpo seminudo: impossibile quindi ignorarlo e passare oltre facendo finta di niente, occorre aggirare questo poveretto o scavalcarlo. Accanto a lui il bastone che lo ha colpito, sporco di sangue, e il suo bagaglio svuotato.


Là in fondo i malfattori che lo hanno spogliato di tutto fuggono a gambe levate.


E un gran sacerdote vestito d’oro, immerso nella lettura delle scritture (“che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?”), non ha voluto rischiare di sporcarsi col sangue del ferito per non compromettere la purezza dei suoi sacrifici al tempio, come prescrive la legge.


Subito dietro di lui un signore riccamente vestito con un abito dai bordi di pelliccia.


Di sicuro non mancavano i mezzi per aiutare, eppure entrambi hanno proseguito voltandoci la schiena, non torneranno indietro, ci sono cose più urgenti e importanti da fare, meno fastidiose.

Di fronte al buon samaritano, la mia decisione

Ancora il buon Samaritano però non si vede. Ora sono io davanti alla scena; quale sarà la mia decisione? Anche io passerò oltre perché ho cose più urgenti da fare? Ma c’è qualcosa di più urgente della compassione, di più urgente della vita eterna?

“Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. E’ la domanda del dottore della legge che vuol mettere alla prova Gesù e conduce poi all’altra domanda: “Chi è il mio prossimo?”.

La risposta dipende solo da te, sembra dirci Gesù: fino a che punto sei disponibile a diventare prossimo di un altro?

Leggendo il brano di Vangelo, notiamo subito che il Signore non risponde direttamente ma racconta un episodio concreto di vita: non individua categorie o cerchie sociali per definire il prossimo, non determina quanto tempo e quante sostanze personali mettere a disposizione degli altri, magari per rispondere a un fastidioso disagio o senso di colpa.

La risposta dipende solo da te, sembra dirci Gesù: fino a che punto sei disponibile a diventare prossimo di un altro, e soprattutto, con quale sguardo e quale compassione? Questa è anche la questione di Dio, in realtà.

La “vita eterna” è questa vita se è buona

Crediamo sempre di avere urgenze inderogabili da portare a termine, ma con un po’ di onestà dobbiamo riconoscere che nella vita noi non conduciamo nulla veramente a termine. L’unica cosa che dovremmo compiere e non mancare, l’unica che dovrebbe davvero starci a cuore, è la questione della vita eterna. Quando il Signore annuncia la presenza del suo regno nelle nostre giornate ci invita a comprendere che eterna non è la vita che ci aspetta dopo questa, quella che ci possiamo “guadagnare” compiendo opere buone, “facendo i bravi” (come forse, in modo un po’ maldestro, ci veniva detto al catechismo da bambini). Eterna è questa vita se è buona, e durerà per sempre se l’accolgo come una grazia e una promessa che Dio mi

Nella compassione per il povero percosso riconosco quello che Dio fa per me

L’opera buona nei confronti del prossimo, del ferito della parabola e di tutti coloro che sono feriti dalla vita, non è il prezzo per meritare la vita eterna: è il modo di rendere eterno il gesto con il quale accolgo e testimonio l’opera di Dio che sta all’origine della vita. Nella compassione per il povero percosso riconosco quello che Dio fa per me, ascoltando quella parola che mi chiama intraprendo una via (proprio lungo quel rosso sentiero) che avrà il suo compimento in lui.

In questo senso non è possibile separare l’amore del prossimo e l’amore di Dio. Ciò che faccio per mio fratello è solo un’incompiuta testimonianza: c’è qualcuno più grande di me che si prende cura di ogni uomo per sempre. Questo è il ragionamento che l’uomo secolarizzato fatica a comprendere: importante è fare il bene, cosa c’entra Dio? La vera fraternità, la prossimità, la relazione buona tra noi, si realizzano quando l’incontro con l’altro ha questa densità spirituale. Una dimensione di rispetto, di cura e compassione che può stare in ogni legame  

e nella quale solo Dio può custodirmi quando lo ascolto: “il regno di Dio è in mezzo a voi…”.

1 Comment

  1. fiorenza cattaneo ha detto:

    Questa parabola del buon samaritano è sempre stata la preferita nella nostra vita. Quante volte scendiamo da Gerusalemme a Gerico e troviamo sulla nostra strada un uomo di cui prendersi cura. Le occasioni sono tante. Si tratta di lasciarsi prendere da una grande compassione. È li , proprio li che incontriamo il signore. Su quel sentiero rosso dove si giocano il dramma di tante fragilità del nostro tempo e la nostra libertà. O meglio la nostra opportunità di farsi prossimo.

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