Proponiamo ai nostri amici lettori alcuni articoli, a intervalli diversi, che cercano di scovare significati non scontati oltre fatti di cui si parlta.
È un esercizio non necessario ma, ci sembra, neppure inutile.
È arrivata la notizia, come una bomba: è stato assassinato l’ex primo ministro del Giappone Shinzo Abe. E lascia basiti, come sempre.
Si moltiplicano questi omicidi tanto ingiustificati quanto spettacolari. Anzi, forse: spettacolari proprio perché ingiustificati. Sono, ovviamente, molto diversi fra loro. La versione prevalentemente americana è la strage, per lo più di persone assolutamente innocenti, spesso bambini. L’altra versione è l’assassinio di una persona molto in vista, spesso politico, come nel caso di Shinzo Abe.
Morti numerosi, morti famosi. Si ammazza. Ma per tutti gli assassini l’importante è fare notizia
Dunque: si vuole fare colpo e, per riuscirci, si usano le persone, semplicemente ammazzandole. Un omicidio siffatto porta a estremi folli alcuni degli elementi che ci sono anche prima che si arrivi a quegli estremi. Ogni forma di follia, infatti, ha sempre, in sé, qualche atomo di verità.
La “messa in scena” folle dell’assassino, allora, può essere vista come l’esasperazione estrema della diffusa tendenza all’esibizione. Riusciamo a essere noi stessi se riusciamo a essere visti dagli altri. Può essere l’esibizione patetica della “civetta” (esiste tutta una letteratura sulla “civetteria”) che si veste in maniera stravagante per essere ammirata o del palestrato che fa vedere i suoi bicipiti.
Un altro elemento è la sproporzione fra quello che si fa – ammazzare i molti o ammazzare i noti – e i motivi che spingono a fare. L’assassino di Shinzo Abe ha detto di averlo ucciso perché era “insoddisfatto” di lui. Alcuni assassini plurimi erano mossi da semplici antipatie personali… In fondo, questi assassini “eccellent” hanno smarrito il senso della realtà, appiattiscono tutto. A loro basta pochissimo per fare moltissimo.
Ma anche questo dato non è esclusivo degli assassini famosi. Esiste, più contagiosa del covid, una spiccata tendenza a discutere e litigare su tutto. Basta assistere a una riunione di condominio.
Poi avviene che un soggetto fragile, che non sa valutare, che è affascinato, proprio perché fragile, da modelli “pubblici” che ha visto al cinema o in televisione, finisce per agisce non nei modi giusti, ma nei modi ritenuti giusti da lui, e fa quello che la sua rabbia gli detta. I freni sono saltati tutti e arriva il dramma.
Traduzione:
La rivista di divulgazione letteraria francese, “Lire” (“Leggere”) ha pubblicato un’interessantissima intervista a Boris Cyrulnik. Questi è ritenuta il teorico della “resilienza”, termine che è diventato di dominio pubblico in rapporto alla pandemia e alla crisi sociale in atto.
La società passata era strutturata dal sacrificio. La società moderna è strutturata dal benessere personale
La resilienza è intesa come “capacità di reagire a traumi e difficoltà, recuperando l’equilibrio psicologico attraverso la mobilitazione delle risorse interiori e la riorganizzazione in chiave positiva della struttura della personalità” (Treccani).
Di tutta l’intervista vorrei proporre alcune delle affermazioni conclusive, dove lo studioso dice qualcosa di molto forte e di molto caustico sulla società contemporanea.
Lire – Lei conosce probabilmente il successo della serie “In terapia”. Che cosa le ispira questa società che pensa soltanto a sdraiarsi sul divano di uno psichiatra?
Boris Cyrulnik – La società pensa a sdraiarsi sul divano… davanti alla televisione, ma quando riesce a lasciare la televisione, la società pensa esclusivamente al proprio benessere. Si vive nella cultura del benessere. Lo sviluppo personale diventa oggi il valore supremo come ieri lo era il sacrificio: sacrificio delle donne per il marito e i figli, sacrificio degli uomini per la guerra e il lavoro in fondo alle miniere. La società era strutturata dal sacrificio, mentre, attualmente, le società sono strutturata dallo sviluppo personale e dunque la terapia, la bici, i massaggi…