Fino a quando?

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“Fu esaudito per la sua pietà”
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Settimana Santa. Giovedì. Immagini per contemplare il mistero.
Due opere: Maurizio Bonfanti e Paul Gauguin.
Lo sguardo e la vicinanza dell’Amico di questa notte

 La distanza fra il suo sguardo e il nostro

Siamo nella settimana preziosa dell’anno in cui, per i cristiani, si raccoglie la vicenda dell’uomo, raccontata nella storia particolare e unica di Gesù di Nazareth.

Una storia apparsa così indispensabile e decisiva, che altri uomini hanno voluto custodirla e farne memoriale, trasmetterla e raccomandarla come lascito ultimo e definitivo per i nostri giorni e il nostro tempo, perché essi siano pieni e compiuti.

E, mentre lo diciamo, sentiamo come sempre la distanza tra quello sguardo di Gesù, che in questi giorni ci convoca, e il nostro sguardo, invece, troppe volte incerto, opaco, distratto…

Eppure, intuiamo a volte, più acuto, quel segreto di Gesù: la sua familiarità con Dio, l’intimità con un padre che gli mostra ogni uomo come unico e degno, come atteso da qualcuno che non smetterà mai di amarlo e di aspettarlo.

Sguardo di misericordia che a noi appare clamorosamente smentito da ciò che abbiamo intorno, ogni giorno, con ogni evidenza.

Ci stupisce che proprio a noi Gesù abbia aperto il suo cuore nella confidenza e amicizia più piene

E ci stupisce e commuove sempre, allora, che proprio a noi Gesù abbia aperto il suo cuore nella confidenza e amicizia più piene, fedeli e irrevocabili, abbia scelto proprio noi che lo stiamo abbandonando, per parlare lungo la storia, con la voce e i gesti dell’uomo. 

Dona la sua parola e la sua vita attraverso le nostre vite, che sono così mancanti.

Noi che non capiamo, che tradiamo, che volgiamo altrove lo sguardo…

Proviamo allora, nuovamente, senza perdere il coraggio, assecondando increduli la sua fiducia in noi: la sua voce sa parlare, abita e si fa strada nel cuore dell’uomo che cerca quell’intimità, che vive in atteggiamento di ascolto umile, di interrogazione, ricerca, scoperta. 

Ecco perché ci rivolgiamo, in questi giorni, a qualche immagine dell’arte, e allo sguardo degli artisti: compagnia preziosa per affacciarci e introdurci nelle vicende umane e divine di vita, di dono e grazia, perdita e consumazione, di paura e sgomento, di bellezza e salvezza.

Ogni artista sincero e ispirato, infatti, decide questo ascolto, prova a raccontare la vita e a dirne la povera e risplendente gloria.

Maurizio Bonfanti: la mensa bianca come il sudario che avvolgerà il corpo consumato

È sorprendente questa Ultima Cena di Maurizio Bonfanti, opera del ciclo Passio esposta in questi giorni nella mostra allestita presso il palazzo storico Creberg, nel centro di Bergamo.

Un’espressiva essenzialità di segni, una tavolozza dai colori poveri e spenti, ci ricorda l’aspra semplicità di Sironi e la forza concentrata dell’arte romanica.

Un uomo inginocchiato a terra, chino, il viso nell’ombra.

Figura umile e severa, si prostra, interamente dedito al suo servizio. Apparecchia la tavola, prepara il pane e il vino, e già questo suo chinarsi, il gesto raccolto, è quello della lavanda dei piedi agli amici, e la bianca tovaglia della mensa è il telo e sudario che accoglierà il corpo interamente consumato e donato, senza residuo, nella compiuta parabola, luminosa e obbediente, di uomo e figlio.

È stato notato che il panno delle vivande, trasfigurazione e traccia risplendente e bianca, offerta di vita e di luce, supera il confine del quadro per offrirsi a tutti, in ogni luogo e tempo, fino ai confini del mondo.

Impressiona e sgomenta ancor più la distanza di coloro che dovrebbero essere gli amici più prossimi. Anonimi, separati, piccoli e distanti, increduli e torpidi, spenti, muti, assenti, si disperderanno nella notte. I destinatari del dono non comprendono e voltano le spalle.

Proprio a loro Gesù ha dedicato la vita intera e il suo insegnamento; ora – ci pare incredibile – nella piena fiduciosa dolcezza, consegna con questa sua vita il definitivo testamento.

Paul Gauguin. Cristo nell’orto deli ulivi. Uno scenario triste come la sua anima

Gli amici escono poi nella notte, seguendo, incerti e distanti, i passi del cammino buio e doloroso del maestro.

“Qui ho dipinto il mio autoritratto… ma il quadro rappresenta anche la caduta di un ideale, e un dolore sia divino che umano. Gesù è completamente solo, i suoi discepoli l’hanno abbandonato in uno scenario triste come la sua anima.” Così Gauguin commenta il dipinto.

Cielo blu, crepuscolo verde, alberi ricurvi sopra contorni color porpora, terra viola e, sul viso di Cristo, capelli di color rosso ocra. Questo quadro è destinato a non essere capito, così lo terrò molto tempo…Ho cercato di fare in modo che in questo quadro tutto respiri: fede, sofferenza, la grande natura con il suo grido.

Gli alberi accompagnano e seguono l’inclinazione dolente di Gesù in primo piano, che sta vivendo le sue ore più terribili; la vivace nota rossa del capo e della barba pare evidente richiamo al sangue che nell’agonia notturna sarà stillato nell’insostenibile angoscia.

Questi giorni, che ci portano innanzi alle cose ultime e più vere, non hanno risposte possibili se non all’interno di intime e nascoste confessioni.

Cosa troveremo nella notte?

Cosa ci lascia questa sera di confidenza? Cosa troveremo nella notte?

Giunti al termine di ogni nostra giornata, quando torna infine il silenzio e la solitudine ci pone innanzi a noi stessi, confessiamo la tentazione pervasiva di sentire il nostro tempo inconcludente e mediocre.

…il desiderio di volgere altrove lo sguardo per eludere la vigilanza e la preghiera

La stanchezza, il desiderio di dormire e volgere altrove lo sguardo, la fatica, invocata come argomento per eludere la preghiera e la vigilanza in compagnia dell’amico segreto.

In realtà la stanchezza più vera sarebbe quella che silenziosamente invade lo spirito se tentassimo di stare davanti a Dio, e misurassimo la scoraggiante distanza da lui.

“Fino a quando?”: è l’interrogativo che spesso introduce la preghiera, il lamento, il grido dei salmi.

“Fino a quando questo abbandono, questo nascondimento di Dio? Questo affanno opprimente che annuncia la tristezza repressa, l’amarezza nascosta, la sfiducia sepolta nel cuore…

Molte volte dovrà essere ripetuto il gemito: “fino a quando?”. Ma la perseveranza è l’unica strada che conduce oltre il sonno; un sonno che – qualora ci sorprendesse – sarebbe come una morte”. (Giuseppe Angelini).

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