La notizia appare ieri sull’Eco di Bergamo. In qualche modo una “non-notizia” perché la cosa era nota da tempo.
Il monastero di Via Matris Domini chiude, dopo oltre 700 anni. Le cinque religiose rimaste si aggregheranno a un’altra comunità
E’ una nuova evidenza delle difficoltà che la Chiesa sta incontrando, la Chiesa di Bergamo, soprattutto.
Mi è venuta in mente una banale considerazione. Uno degli schemi più ricorrenti per prospettare una evoluzione della crisi è quella di pensare la Chiesa del futuro come un po’ meno Chiesa di parrocchie e oratori e un po’ più Chiesa di monasteri: una Chiesa più “mistica” e meno impegnata nelle molte cose nelle quali si trova impegnata oggi.
Ma, se si sta a questa notizia e ci si limita a questo caso, si deve dire che lo schema non funziona, perché, mentre continua la crisi delle istituzioni pastorali della Diocesi, continua la crisi anche delle istituzioni monastiche. Il travaso verso la mistica non ha luogo.
Forse la Chiesa alternativa alla attuale deve ancora nascere, ma deve davvero apparire come alternativa. Ci vorrà ancora molto tempo. Molto.
Noi siamo i cristiani traghettatori. L’altra riva è ancora lontana.
Prima pagina del Corriere di qualche giorno fa. A Mosca un attentato terroristico in un teatro . La principessa Kate annuncia di avere un tumore. Gramellini commenta una notizia di cronaca che riferisce di due ragazzine che si sono accoltellate per contendersi un ragazzo. Tutte notizie di violenza e morte.
Dove le domande sono due. Prima domanda, banale: perché così tanta violenza. Seconda domanda, ancora più banale: perché se ne parla così tanto. Per cui: non solo sono presi dalla violenza chi la fa e chi la subisce ma anche tutti gli altri che sono costretti o a parlarne o a sentirne parlare.
Mi sto sempre più convincendo che la violenza fa parte strutturante della cultura umana. Ha ragione Girard. L’uomo è “polemico” (dal greco “polemos”, guerra).
Prima Ulisse fa la guerra a Troia. Poi, dopo, solo dopo, gira il mondo intero e anche ciò che sta oltre il mondo, per conoscere e per tornare, alla fine, alla sua Itaca.
Itaca fa pagare con la fatica straordinaria del molto viaggiare ma, soprattutto, della fatica disumana della guerra.
Ancora a proposito di guerra. Se ne parla sempre di più, per i motivi che sappiamo. E soprattutto dei molti pericoli di un allargamento della guerra, pericoli sempre più pericolosamente evidenti. Soprattutto in Ucraina. Ormai è evidente che soldati occidentali sono presenti sul territorio ucraino. Anche nelle sedi centrali europee si parla di guerra e si pensa alla guerra.
Tutto questo fa paura perché si aggiunge, proprio in questi giorni, un elemento inquietante: si dice che la guerra non è imminente.
E, naturalmente, mi è tornato in mente il passaggio famoso de “La guerre de Troie n’aura pas lieu” di Jean Giraudoux: Il vecchio, navigato Ulisse – ancora lui, ma lui prima della guerra e non dopo, con il ritorno a Itaca – si rivolge a Ettore: “Voi siete giovane, Ettore!… Alla vigilia di ogni guerra è usanza che due capi dei popoli in conflitto si incontrino soli in qualche innocente villaggio, sulla terrazza in riva al lago… E tutti e due sono pieni di pace, di desideri di pace. E si lasciano stringendosi le mani e sentendosi fratelli. Eppure, il giorno dopo, la guerra scoppia. I nostri due popoli non si aspettano da noi la vittoria sull’ineluttabile. Soltanto, ci hanno dato i pieni poteri e ci hanno isolato perché noi potessimo gustare meglio, al di sopra della catastrofe, la nostra fraternità di nemici. Gustiamola. E’ un piatto da ricchi. Assaporiamola. Ma tutto finisce lì. Il privilegio dei grandi è di vedere le catastrofi da una terrazza”.
Non è che mi interessi molto vedere la guerra. Neanche da una terrazza. Anche perché, per vederla dalla terrazza, bisognerebbe essere nella situazione di poterla decidere.
E io, come la quasi totalità degli umani, sono nella situazione di poterla soltanto subire.