Celebriamo la morte di Gesù confessando il nostro peccato di allora e di oggi.
Per non aver saputo vegliare un’ora con lui, per essere rassegnati alla sofferenza del fratello, e di tutti i fratelli, come male inevitabile.
La liturgia della croce è la celebrazione più trasparente e commovente di questo pellegrinaggio di ritorno degli uomini: “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (GV 19, 37), a colui che abbiamo lasciato passare in mezzo a noi silenzioso e ignorato.
Come molte altre volte, ci facciamo aiutare da Rembrandt a rimanere in questo tempo denso e prezioso.
Compianto su Cristo morto, conservato alla National Gallery di Londra.
In un grumo di luce, Cristo deposto poggia la testa sulle ginocchia della madre, che appare priva di vita, come il figlio. Avvolti dalla luce, a fare cerchio a questo dolore, tutti coloro che partecipano dello strazio.
Il corpo luminoso di Cristo è centro di gravità della composizione; sembra che tutto converga o diverga a partire da quell’irradiazione: con la sua presenza, e ancor più nella morte, Gesù provoca ciascuno a misurarsi sulla piccineria o larghezza del suo cuore.
In piedi, indifferenti, avvolti da un’ombra scura e greve, stanno i rappresentanti della religione e della legge, presenti soltanto per verificare che la sentenza sia stata eseguita secondo quanto deciso. Non è così pesante la tenebra neppure sul ladrone crocifisso, dal volto indistinto, controluce, ancora appeso sulla croce insieme al compagno; quale dei due avrà interrotto il silenzio di Gesù, ascoltando da lui la promessa del paradiso.
Le ombre delineano i piani prospettici, fanno emergere in piano medio anonimi cavalieri, esponenti delle istituzioni, e, sullo sfondo, sovrastata da un cielo plumbeo, Gerusalemme, la grande città color cenere su cui Cristo ha pianto perché essa non ha saputo riconoscere i suoi profeti e la salvezza che l’ha visitata. La città del grande maestoso tempio, verso cui tutti salivano.
C’è un velo nel tempio di Gerusalemme, che chiude il tabernacolo, il luogo in cui abita la gloria di Dio. Nessuno può guardare oltre il velo.
L’uomo soffre senza trovare spiegazione alla sofferenza, ogni volta muore senza riconoscere alcun senso alla propria morte; è come se il tempio fosse vuoto e soltanto quel velo possa nascondere la crudele assenza di Dio. Ma il velo si strappa, quando Gesù muore. Dio, da cui anche il Figlio si è sentito abbandonato, è finalmente presente anche al di là della morte.
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