Le nostre liturgie. Strane e silenziose

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Da quando abbiamo ripreso a partecipare alle messe in presenza,
ci sono alcune cose che sono diventate ancora più evidenti,
durante le celebrazioni.

Sono alcuni mesi che partecipo in diversi orari, dalla prefestiva alla domenicale. Ho avuto modo di osservare quindi anche le diverse tipologie di fedeli che le frequentano. Dalla messa dedicata in modo particolare ai ragazzi adolescenti, a quella per i bambini con le famiglie; da quella in orari più mattutini, tipica delle mamme che poi corrono a preparare i pranzi o che si trovano al bar con le amiche per la chiacchierata domenicale, a quella della domenica sera che raccoglie coppie giovani o di mezza età.

Durante la messa si tace o si sussurra

In tutte quello che colpisce, sono le pochissime voci che si uniscono al canto o recitano il credo e rispondono alle invocazioni. L’unica eccezione è il Padre nostro, che ancora ha un po’ di partecipazione.  Sembriamo diventati un popolo di sussurratori.

Naturalmente suonano l’organo e le chitarre, cantano i ragazzi del coretto o quelli più adulti. Ma tutti gli altri sembrano essere diventati semplici auditori. Intendiamoci per carità, qualche eccezione c’è, ma, nella maggior parte dei casi, le mascherine sembrano diventate l’alibi per non fare uscire le nostre voci.

Gli anziani che conoscevano le parole dei canti a memoria, senza bisogno di leggerle sul libretto, ormai in gran parte non ci sono più. Quelli rimasti forse temono di non avere fiato a sufficienza. Quelli meno giovani non si azzardano a cantare forse, per paura di sbagliare qualche parola, di essere troppo stonati o chissà che.

I ragazzi e i bambini sono quasi totalmente estranei a ciò che ascoltano. Il canto è una cosa che non riguarda il loro stare nella celebrazione. Sorge il dubbio che nessuno sappia e che nessuno magari gliel’abbia mai detto, che la gioia si trasmette anche così, che anche quella è una preghiera. Noi adulti non siamo un grande esempio in questo. Il coretto fa il lavoro per tutti e mentre canta, si ha tempo di chiacchierare con il vicino e far vedere le scarpe o la borsa nuova.

Il coro fa il suo concerto

Fortunatamente nelle celebrazioni importanti c’è il gran coro che spesso… purtroppo… fa un suo concerto. Lì siamo tutti tranquilli e scusati. Brani difficili e a più voci non possono essere certamente per l’assemblea!

E anche il rispondere amen, il recitare il credo, il rispondere a un salmo è diventato un fatto personale e non comunitario.

Che bisogno c’è di far sentire la voce agli altri, quando in fondo il Signore legge benissimo il labiale o ancor meglio dentro la testa? Il rapporto personale con Dio, senza bisogno di mediazioni, che sempre più sta diventando il modo comune di interpretare la fede e di credere, s’insinua anche nei gesti più semplici che ci rendono Chiesa e comunità.

Cuffie, cellulari, televisioni ci hanno ormai così abituati a non dover rispondere, ad ascoltare altri che parlano per noi?

Il corpo esibito altrove è occultato in chiesa

D’altra parte anche il nostro muoverci il meno possibile, che da sempre ci ha un po’ ingabbiato dentro messe, dove anche il semplice spostare una sedia per raggiungere la fila della comunione, suona come un rumore poco liturgico, ha scandito le nostre partecipazioni.

Entriamo in chiesa in punta di piedi, cerchiamo di individuare il posto libero il più in fretta possibile, evitiamo spesso di guardare chi è già seduto e magari il vicino nemmeno gira gli occhi verso di noi per accoglierci con un sorriso.

Forse il proibire lo scambio della pace per qualcuno è stato un sollievo per togliersi dall’imbarazzo di toccare la mano di qualcuno che magari nemmeno conosciamo.

Il nostro corpo, la voce, lo sguardo insomma sono parte di quella sfera magari esibita nei luoghi più disparati, dalle palestre ai karaoke, dalle piazze ai bar, ma… diventa proprietà privata, immobile, silenziosa, davanti a chi ci ha creato e ai fratelli più vicini, quelli che condividono la stessa fede, quelli con cui condividere tutta la gioia di celebrare una messa. Sorge un dubbio… ma questa gioia c’è?

Vedi anche Matteo Bartoli.

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