La carità della Chiesa verso gli ucraini. Ma quale Chiesa e quale carità?

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La carità della Chiesa verso gli ucraini. Ma quale Chiesa e quale carità?

Facciamo un’ipotesi. Che poi, mi hanno assicurato, non è solo un’ipotesi.
Il parroco decide di accogliere nella casa parrocchiale una famiglia di profughi ucraini.

 

Non ne ha parlato con il consiglio pastorale, non ne ha parlato con il Consiglio per gli Affari Economici (ci sono anche delle spese, infatti), non ne ha parlato con il curato. Comunica semplicemente a tutti che, il giorno dopo, una famiglia di ucraini arriverà in casa parrocchiale. Punto.

Commento. Nessuno può dire: guarda, caro don, che stai sbagliando. Non si fa così. Se uno osasse fare un’osservazione simile farebbe pensare che non si deve fare la carità. E quindi non si dice nulla e il parroco procede (in realtà ha già proceduto senza dir niente a nessuno) e la cosa va.

Ma le cose che vanno sono in realtà due.

Cosa numero uno. Il parroco in questione fa un atto di carità verso i lontani, gli ucraini. E questo va bene, ovviamente.

Cosa numero due. Il parroco commette una grave inadempienza verso il consiglio pastorale, il consiglio per gli affari economici, il curato e quindi verso tutta la comunità. E questo non va bene, altrettanto ovviamente.

Sintesi: L’atto di carità, anche il più urgente, come quello verso gli ucraini, potrebbe rivelare l’esistenza di una Chiesa che non è comunità, soprattutto quando ci sarebbe più bisogno che lo sia. E da lì la possibile conclusione: proprio mentre la Chiesa si dà da fare, conferma anche, mestamente, di essere, malgrado la sua carità, sulla via del tramonto: serve, la Chiesa, fa cose utili, ma non è più Chiesa.  

P.S. Va da sé che non tutti i parroci e non tutte le parrocchie sono così. Ci mancherebbe e per fortuna.

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