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A proposito di preti, pizzi e tonache

Caucasian priest reading holy bible inside orthodox church to crowd of people

Avevo sempre creduto che le riforme di Papa Giovanni e del Concilio
con il passare del tempo sarebbero state accolte pacificamente.
Invece gli “zoccoli duri” resistono. Tra i preti soprattutto

In queste calde giornate estive, in vacanza, visto che lavoro in una scuola, posso permettermi di rileggere con calma, qualche omelia e qualche discorso del Papa.

Papa Francesco parla chiaro

Parla spesso il Papa ai suoi preti, come diremmo noi, senza peli sulla lingua, con richiami per niente velati.

Da buona figlia di bergamaschi, ho amato da sempre il Papa Roncalli e il suo Concilio. Pensavo che anche la chiesa avrebbe accolto e attuato le sue riforme, magari con lentezza, magari con qualche perplessità all’inizio, ma poi sempre con più favore, sempre più calata nei tempi delle nuove generazioni, sempre più apprezzata dai preti giovani. Mi sono accorta, invece, che gli “zoccoli duri” tra i cattolici, ma soprattutto tra i preti, resistono. Papa Francesco ha usato parole come queste nell’ultimo incontro con i preti siciliani, lo scorso giugno (sono parole che però, in parte, andrebbero bene anche a Bergamo):

“…Non vorrei finire senza parlare di una cosa che mi preoccupa, mi preoccupa abbastanza. Mi domando: la riforma che il Concilio ha avviato, come va, fra voi? La pietà popolare è una grande ricchezza e dobbiamo custodirla, accompagnarla affinché non si perda. Anche educarla. Su questo leggete il n. 48 della Evangelii nuntiandi che ha piena attualità, quello che San Paolo VI ci diceva sulla pietà popolare: liberarla da ogni gesto superstizioso e prendere la sostanza che ha dentro. Ma la liturgia, come va? E lì io non so, perché non vado a Messa in Sicilia e non so come predicano i preti siciliani, se predicano come è stato suggerito nella Evangelii gaudium o se predicano in modo tale che la gente esce a fumare una sigaretta e poi torna…

Quelle prediche in cui si parla di tutto e di niente. Tenete conto che dopo otto minuti l’attenzione cala, e la gente vuole sostanza. Un pensiero, un sentimento e un’immagine, e quello se lo porta per tutta la settimana. Ma come celebrano? Io non vado a Messa lì, ma ho visto delle fotografie. Parlo chiaro. Ma carissimi, ancora i merletti, le bonete [berrette]…, ma dove siamo? Sessant’anni dopo il Concilio! Un po’ di aggiornamento anche nell’arte liturgica, nella “moda” liturgica! Sì, a volte portare qualche merletto della nonna va, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no? Avete capito tutto, no, avete capito. È bello fare omaggio alla nonna, ma è meglio celebrare la madre, la santa madre Chiesa, e come la madre Chiesa vuole essere celebrata. E che la insularità non impedisca la vera riforma liturgica che il Concilio ha mandato avanti. E non rimanere quietisti.”

Il mondo se ne va per conto suo e la Chiesa fa la nostalgica

Però! Nel 2022, quando la chiesa annaspa tra giovani che non varcano la soglia, tra adulti che si fermano alla sola messa domenicale, coppie sempre più felicemente conviventi e anziani un po’ smarriti nel dopo Covid e seminari sempre più vuoti, ancora si devono ricordare documenti di 60 anni fa. Non solo non sono stati ben applicati, ma non hanno fatto troppi passi avanti, non si sono aggiornati alla vita delle comunità. Non solo la vita ideale, sogno di qualche santo o di qualche teologo, ma la vita quotidiana e reale dei credenti. 

Finita, o quasi finita la pandemia, si sperava che l’ulteriore scossa data ad una chiesa già in fibrillazione, avesse creato le condizioni favorevoli ad un modo nuovo di guardare al mondo. Ma piano, piano si sta tornando ai vecchi modi di fare chiesa. Una bella processione con tanto di statua del santo di turno e fuochi d’artificio, una catechesi che riprende i vecchi stili, una bella talare e un camice ricco di pizzi indossati anche da preti giovani, messe su richiesta di ogni tipo di associazione (posso capire la Croce Rossa, gli Alpini, ma per i cacciatori qualche dubbio potremmo sollevarlo?) sembrano le “nuove” proposte di evangelizzazione.

Un amico vescovo brasiliano, a Roma il mese scorso per una delle riunioni del Sinodo, e qui di passaggio, chiacchierando mi ha detto di aver dimenticato di portare la Mitra: “pensavo non servisse, invece c’era una celebrazione ufficiale”. Scherzando ho risposto che forse era “un segno” e che sarebbe arrivato il momento di scegliere più sobrietà anche nelle alte sfere! Vedere in tv le celebrazioni in San Pietro, sembra ormai una parata da museo. Le gerarchie della chiesa in bella vista, cosa dicono ai nostri giovani, a chi sta sulla porta della fede? Una rivisitazione anche degli abiti liturgici, non darebbe l’idea di una chiesa più vicina al popolo di Dio, più disposta all’accoglienza e all’ascolto?   

Un vescovo proibisce ai preti di portare la tonaca

Il 2 giugno, l’Arcivescovo di Tolosa, Monsignor Guy de Kerimel, ha ordinato ai seminaristi e ai diaconi sotto la sua giurisdizione di smettere di indossare la tonaca. Mons. de Kerimel ha spiegato di non volere “che i seminaristi si mostrassero in modo troppo clericale”. Secondo l’Arcivescovo

la priorità di un giovane in formazione al sacerdozio ministeriale è quella di crescere e rafforzare il suo rapporto con Cristo in umiltà e verità, senza pretendere di entrare in un personaggio: deve far crescere in lui la carità pastorale e rendersi accessibile a tutti prima di preoccuparsi di mostrare un’identità molto marcata”.

Fa’ un po’ impressione che un vescovo debba ricorrere ad una decisione eclatante, perché legge nei futuri preti troppo clericalismo. Sarà il nascondersi sotto la tonaca e magari pianete dorate e pizzi, a metterli al riparo dal confronto con il mondo, con temi scottanti come il fine vita, l’aborto, le benedizioni ai gay e alle famiglie allargate, quando diventeranno curati o parroci? Io sono della generazione che ha visto preti operai, affrontare la vita di fabbrica e, con la tuta, parlare del Vangelo nelle mense. Forse non fu un successone, non furono in molti a scegliere quella strada, ma sicuramente stare sulla barricata e sporcarsi le mani li aiutò ad avere una mente aperta, a sperimentare davvero il quotidiano.

Se la Messa parla più del prete che del Risorto…

Ora l’io imperante, che sempre più dilaga e prende il sopravvento nelle scelte di ogni giorno, è davvero solo prerogativa delle giovani generazioni o le giovani generazioni non trovano in noi, nella chiesa, nella società esempi di umiltà, abnegazione, senso del sacrificio, accoglienza? Se anche nella Messa, tutto parla più del sacerdote, piuttosto che del Cristo morto e risorto, non siamo scivolati in una dimensione molto distante di quella del Signore, seduto semplicemente a parlare tra i discepoli o in casa dell’amico Lazzaro? 

C’è ancora buona parte dell’estate per impostare la ripresa della pastorale nelle nostre Parrocchie a settembre… C’è tempo per migliorare… Per i suggerimenti di Papa Francesco temo che ci vorrà un po’ di più!

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