Lizzola/La scuola e l’esperienza del tempo

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Custodire l’umano

Mondo adulto e mondo giovane. Incontro necessario
Necessari luoghi e modi per incontrarsi

I luoghi educativi necessari

Sentire attorno a sé indifferenza e durezza congela le esperienze, strutturalmente originarie degli uomini e delle donne, di cura dell’esistenza.

Quando le cose e la vita stessa delle persone paiono essere solo calcolo, utilità e disponibilità, quando l’esercizio della forza apre a paure e legittima l’immediatezza delle reazioni, quando le reazioni e le scelte sono velocità e competitività, allora la vulnerabilità, l’incertezza, la ricerca paiono insopportabili.

È allora che le vite giovani che cercano la vita e la strada hanno più bisogno di vivere il venire in presenza reciproca, la fiducia di incontrare e provare parole e pensieri, e dei movimenti e delle pratiche che siano instauratori di senso, degli incontri con donne ed uomini capaci di esporsi, di consegnare, di indicare. Hanno bisogno di luoghi educativi.
Le vite giovani, quelle che in gran numero si raccolgono e si incontrano a scuola, sono vite che portano nel profondo un ‘bisogno di credere’, come scrive Julia Kristeva, sul quale si appoggia il ‘desideri di capire’. Trova appoggio, proposte di cammino, coltivazione, ascolto serio? Veniamo da anni nei quali i percorsi di vita e individuazione sono stati difficili, e le incertezze e le ansie, come le esperienze di distacco e perdita hanno segnato molte storie e il sentire comune.

Adulti educatori

Dove e come ritrovare la possibilità, per tante infanzie e adolescenze, di scoprire ed assumere come sostenibile ed affascinante il proprio compito di sviluppo, la cura di sé, della vita con altri, del mondo? Si offe la scuola come esperienza e ‘luogo’ nel quale ospitare questo?

Ci vogliono adulti che accettino l’impegno… sapendo che il valore delle opere e la forza dei paradigmi sono messi in discussione

Certo, ci vogliono adulti (padri, madri… insegnanti) che accettino l’impegno della prova del senso, del cercare e del consegnare, sapendo che i sogni e le speranze costruite nel tempo, il valore delle opere e la forza dei paradigmi, sono messi in discussione. E che loro, adulti, devono accettare il timore circa la consistenza e credibilità di quanto offrono. Devono tornare a cercare il valore e l’essenzialità, e una nuova costruzione, un sentire e un pensare il proprio tempo, con cura e con generosità.

Forse i bambini e gli adolescenti non han (solo) bisogno di sentirsi e vedersi sostenuti e confortati, quanto di sentirsi e vedersi (anche) attesi, invitati a presenze attente, riconosciuti e invitati a domande e parole, e a dare loro visibilità.
Occorre che trovino una ‘aula’ adeguata, parole adeguate, adeguate relazioni, nelle quali adulti, bambini, giovani si cerchino. Cerchino sé, e in sé; cerchino altri, gli uni gli altri.
Ci vuole un teatro adeguato al confronto e al conflitto tra vita nascente e mondo costituito; al confronto col momento in cui la vita si presenta come “tutta la vita”: perché è fragilissima; perché nasce, e muore; perché vive la guerra e la violenza, e la fuga; perché prova a riconoscere, a trovare radici e terreni nuovi. Come è delle e nelle vite di tante infanzie e adolescenze, nelle vite e nelle storie che vedono e sentono attorno a loro.

Apriamo aule in cui cercarsi?

Maria Zambrano negli scritti raccolti in “Per l’amore e per la libertà” dice che tra le generazioni occorre riaprire la domanda meravigliata accanto a quella che viene dai saperi e dall’esperienza. Quest’ultima ha già risposte. La domanda meravigliata sulla realtà, sulla vita, sul mistero chiede di curare, tra domanda e risposta, un soffermarsi, una esitazione, un po’ di senso dell’aperto (e di rischio del vuoto).

Alla domanda meravigliata si risponde davanti a qualcuno o qualcosa; e si risponde di qualcosa, a qualcuno che ci riguarda (ci guarda, direbbe il francese). Si risponde della natura, del vivente; delle generazioni a venire, dei poteri delle distruzioni, e delle persone che li subiscono, delle fragilità e degli smarrimenti.

Cerca, la domanda meravigliata lo sguardo svuotato dalla miseria e dall’ingiustizia, e l’attesa di bellezza e di tenerezza di tanti corpi… É questo, e molto altro, che viene serbato in tanta arte e letteratura, in tanta scienza e tante saggezze, in tante storie e tante immaginazioni. Sono già da tempo aperti i percorsi della domanda meravigliata.

…tenere intrecciati un amore del sapere ed un sapere dell’amore

Risvegliare l’immaginario e la cura in tanti corpi giovani ‘turbati’, a volte intimoriti dal desiderio, anche incerti nel voler vivere, chiede probabilmente di tenere intrecciati un amore del sapere ed un sapere dell’amore (della cura, della pace, della giustizia, della bellezza, della possibilità di vita, dei beni). Chiede una parola che colga, trattenga il senso di vuoto, il sostare sul “dévivre”, il confronto con la morte e ne faccia luogo di senso e di incontro fraterno, un luogo di generosità e di speranza.
La scuola è, anche, luogo di cura dell’esistenza, in cui sentire e cogliere e praticare la promessa, l’attendere (a) ciò che avviene, alla realtà e all’avvenire? In cui ‘fare avvenire’?

Quale è il dovere del sapere

Occorre cercarsi e parlarsi tra ragazzi e adulti, tra adulti e bambini.
Non basta costruire un sapere come potere, pur se certamente “sapere è potere”; occorre scoprire a cosa orientare quel potere e quel sapere. Meglio ancora: occorre sentire a cosa è chiamato quel sapere, quale è il suo “dovere”.
Per farlo è bene che i percorsi educativi e scolastici orientino a curare (continuamente) la relazione tra le conoscenze, i pensieri propri e condivisi nel gruppo, con il proprio essere nel mondo. Julia Kristeva ben distingue una comunità di ricerca tra giovani e adulti che lavora alla “gestione tecnica della specie umana”, da una che cura ed affina “una intelligenza in atto attraverso l’amore”.
Quest’ultima è una comunità di ricerca piantata come una tenda nelle domande e nelle ricerche di una convivenza attenta al futuro, in cui l’apprendimento è anche un servizio, l’insegnamento è credibile perché apre a immaginazioni e a costruzioni condivise e responsabili.

…rielaborare vissuti che emergono destabilizzati da questi anni di esposizione, timore, incertezza e paura.

Accogliere in noi una questione, un oggetto di studio, un problema è accogliere anche la sua carica ed attesa di senso; è raccoglierci in essa. Può essere un lavorío ed un incontro utile anche per rielaborare vissuti che emergono destabilizzati da questi anni di esposizione, timore, incertezza e paura.

Occorre mettere in conto che per diversi anni dovremo sostenere i percorsi carsici delle sofferenze e dell’ansia, del trauma e dell’abulia.
E le scuole, come altri luoghi ed istituzioni, dovranno essere capaci di essere processi e percorsi trasformativi, riflessivi, autodiretti; orientati e sviluppati dalle donne e dagli uomini adulti e giovani che le vivono.
La cura e la responsabilità di futuro sono da richiamare e attivare precocemente nelle menti, nei cuori, nelle mani (anche quelle sulle tastiere). Un’offensiva di fiducia culturale, coltivata in prossimità esigenti e vitali (come quelle che possono legare orizzontalmente e verticalmente i gruppi in una scuola), può essere generativa di risorse: la società democratica vive in e di narrazioni, discorsi, emozioni, riconoscimenti, confronti esigenti e legami.

Occorrono luoghi che siano soglie: di sosta e passaggi oltre, di prova e di prefigurazione

Occorrono luoghi che siano soglie: di sosta e passaggi oltre, di prova e di prefigurazione. Soglie preziose possono essere quelle dove i saperi, le discipline e le esercitazioni, le progettazioni e le valutazioni si incontrano con le possibilità, le problematicità, le visioni e le questioni aperte, i conflitti e le diversità.
La soglia è un “tempo altro” rispetto al presente, tempo di indagine e sospensione, di rivisitazione di memorie e lasciti, di esplorazione di futuri possibili. Sulle soglie si impara a pensare bene, a scegliere, anche a sperare perché si vivono esperienze di interrogazione, di visita, di veglia, di accoglienza, di servizio e di raccoglimento.

Le possibilità offerte dal tempo

Il tempo chiede ed offre molto: le esperienze di odio e violenza senza fine e quelle di riconciliazione e di incontro; la prova d’una vita umana e del pianeta vulnerabile e ferito e la possibilità della cura, della sostenibilità, della sollecitudine verso la natura e le generazioni a venire; la durezza della guerra, delle separazioni e delle grandi diseguaglianze e la ritessitura continua, forte e mite, dei giusti, verso buoni conflitti, verso cammini comuni oltre le offese.

In questo tempo si è riaperta la questione dell’uomo

In questo tempo si è riaperta la questione dell’uomo, e lo si vede nella forza che manifestano le forme in cui si esprime l’attrazione del nulla: il dissolvimento e la dispersione di tante vite dalle relazioni estenuate; la disposizione alla guerra e alla violenza; il cinismo indifferente di tanta spesa di intelligenza.

Cosa serbare come semente per continuare il cammino? quali aratri serviranno? dove sarà l’acqua? Ci saranno luce e calore a chiamar fuori germogli? Domande nell’esodo, per il cammino oltre. Per alimentare la promessa.

La categoria del ‘dopo’ forse non è adeguata, e non aiuta. Sarà piuttosto un riprendere un cammino ora così segnato da impoverimenti e da più acute diseguaglianze, da un più diffuso morso dell’incertezza… Peserà anche il ricordo della paura provata. Ci saranno tante assenze: di tantissimi fragili e vecchi, di tante memorie, e storie e comunità.

La lotta. Poi il nuovo giorno

Chissà se, come Giacobbe dopo la lotta con l’Angelo, sciancato dalla ferita al fianco, all’uscita dalla notte, sentiremo ancora benedizione su di noi e sull’umanità? La sentiranno le adolescenti e gli adolescenti che vivono la loro età come “nuova nascita”, come “rivoluzione” e turbamento, in un mondo in esodo, mentre l’umanità è scossa?

Dopo la notte, in esodo, non ‘torna’ il giorno, piuttosto si apre un’alba nuova, un nuovo giorno. Ma a condizione che la notte sia stata di lotta, di sperdimento anche, e insieme un tempo di verità, di conoscenza dei propri moventi profondi (distruttivi e generativi), e quindi di ‘respiro’ nuovo della coscienza.
Lì potremo seminare di nuovo nel bisogno di credere che in questo tempo è così provato, che pare così sfibrato e che si tende come la corda di un arco sul punto di rottura. Legando il bisogno di credere al desiderio e al compito di sapere, di conoscere. Di essere responsabili. Bisogno e desiderio che portano dentro molte e molti studenti.

Non ce ne rendiamo, forse, conto ma la parola “lascia sempre una traccia” come dice Maria Inglese e se a scuola a volte si incontra una parola, un pensare, un costruire conoscenza che permette alla vita di farsi esperienza, si incontra anche, altre volte, una parola vuota o falsa, un gioco di pensiero raffinato e cieco, una costruzione di rappresentazioni anestetiche. La scuola oggi è svelata, è nuda.

La scuola oggi è svelata, è nuda.

Fare scuola è rendere giustizia, si è sentito dire tra studenti della scuola di un istituto di pena e studenti di un istituto professionale della stessa città. Due periferie che si incontravano in un progetto di service learning. Rendere giustizia a quel che si può essere e diventare oltre errori e pregiudizi; e nella convivenza: ai fragili e agli offesi. E rendere giustizia nel farsi carico gli uni degli altri, nell’”affermare il valore dell’alleanza in uno scenario di disalleanze” come annota Elisabetta Musi.
Sapere è cambiare, cambiare conoscendo. Oggi è importante ritrovarsi, arginare solitudini e abbandoni; tenere, grazie alla scuola, ragazze e ragazzi in contatto tra loro. Portarli a star bene con la letteratura, la matematica, l’arte, facendoli uscire, e rendendoli protagonisti del capire e del cercare, dello scoprire e dello scegliere.

Scoprendo parti di sé per «rimbalzo culturale» come indica Franco Lorenzoni. Anche per un lavoro in una comunità di apprendimento che avvii periodicamente percorsi di servizio, di un’alternanza non solo scuola-lavoro ma anche scuola-servizio.
Un luogo, la scuola, in certo modo di “resistenza” umana, di incontro e dialogo, ma anche di desiderio: desiderare come immaginare insieme, creare, pensare insieme e dedicarsi a ciò che vale. Oggi bambine e ragazze, bambini e ragazzi hanno un grande bisogno di confrontarsi con grandi temi, profondi e difficili, di sostare nelle domande e approfondire. Non di recuperare contenuti e programmi ma di fare meno e andare in profondità con la riflessione e il confronto.

Occorre pensare bene e trovare gli oggetti culturali per questo tempo, scandagliare memorie e patrimoni, da scambiarsi, da indagare. Tutti siamo educati dalla vulnerabilità, da un sapere amante e responsabile, da capacità di tenere coprogettazioni e interazioni aperte e generative.

Traboccare verso il futuro

In una scuola c’è sempre un traboccamento verso il futuro, si reimmaginano sempre cose nuove. Come quando nasce un bambino si torna alla prima settimana del mondo, anche quando si educa e si insegnano i linguaggi, le tecniche, i saperi della tradizione è come se li si riprovasse da capo nella loro capacità di dire il mondo, di trasformarlo e di condividerlo. A volte nella scuola questo è perso e ci si concentra sull’apprendimento e sulla capacità di farne prestazione: questo apre alla catastrofe educativa.

La scuola come dovrebbe assumere questa sfida? Da anni la scuola si vive in rincorsa rispetto alla velocità delle tecnologie e del mondo lavoro. La scuola, invece, deve essere anticipo: come una bandiera continuamente spostata sull’orizzonte in cui tutte le memorie e le consegne del passato vengono praticate immaginandone una funzione futura, buona, fraterna.

Bisogna ripensare la scuola non in rincorsa ma in avanti, come annuncio. Quando tu insegni una disciplina a scuola, ne insegni le grandi possibilità di trasformazione del mondo, non insegni la disciplina come esercizio di misurazione o di potere.

fare abitare l’altro presso di sé, abitando l’orizzonte dell’altro

Pensiamo, poi, a quanti bambini e adolescenti nel mondo crescono in situazioni di guerra, di incertezza, di uso autoritario della forza, senza adulti che di loro abbiano cura. Il mondo è pieno di minori non accompagnati e di adulti sopraffatti che non possono accompagnarli. Ci sono anche adulti che li sfruttano e li usano, per giochi del potere che sfigurano l’umano e la vita del pianeta. Educare in oasi come la scuola, in cui respira il mondo e il futuro, e si decostruisce l’altro come nemico e come minaccia, fare abitare l’altro presso di sé, abitando l’orizzonte dell’altro: questo è ricerca e fatica, ma è anche compito adulto, di presidio, di scoperta e di impegno di pace e bellezza.
Ivo Lizzola

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