In principio era la Parola. E la Parola carne divenne

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In principio era la Parola. E la Parola carne divenne

Spunti per rimuginare la Parola a cura di Omar Valsecchi – seconda domenica dopo Natale

Dal Vangelo secondo Giovanni
In principio era la Parola e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio, questa era in principio verso Dio.
Tutte le cose furono per mezzo di lei e senza di lei neppure una cosa fu. In ciò che fu fatto era vita e questa vita era la luce degli uomini.
E la luce splende nella tenebra e la tenebra non l’ha accolta / non l’ha soffocata.
Ci fu un uomo inviato da Dio, Giovanni il suo nome,
questi venne per testimonianza, per testimoniare sulla luce affinché per mezzo di lui tutti credano.
Costui non era la luce, ma per rendere testimonianza alla luce.
(La Parola) era la luce vera che illumina ogni uomo venendo nel mondo.
Nel mondo era e il mondo fu per mezzo di lei e il mondo non la riconobbe.

Venne nella sua casa (la sua proprietà), e i suoi non l’accolsero.
Ma a quanti la accolsero diede di poter divenire figli di Dio a coloro che credono nel suo nome i quali non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio furono generati
e la Parola carne divenne e pose la sua tenda in mezzo a noi
e contemplammo la sua gloria, gloria di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e verità.

Giovanni testimonia di lui e ha gridato dicendo:
“Questi era colui del quale dissi, colui che viene dopo di me,
è diventato avanti di me, perché era prima di me.

Infatti dalla pienezza di lui abbiamo ricevuto grazia su grazia,
poiché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia della verità fu per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l’ha mai visto, l’Unigenito Dio che è verso il seno del Padre, egli l’ha narrato.

La ricerca di quanto ci precede e presiede ad ogni nostra attività, ad ogni nostro pensiero e al nostro stesso esistere è ciò che maggiormente ci intriga e, nello stesso tempo, ci inquieta.
Esiste un’origine, un principio primo di quel che viviamo, oppure siamo semplicemente determinati dal caos o dal cieco e sordo dispiegarsi del destino?
Pare che la comunità dell’evangelista Giovanni fosse particolarmente abitata da questa stessa domanda. Proprio all’esplorazione delle profondità che questo interrogativo custodisce, Giovanni ha voluto affidare l’inizio della sua opera: quello che noi chiamiamo il prologo del suo Vangelo. E, letto in questo tempo di Natale, il prologo della venuta al mondo di Gesù.

Al principio la Parola

Al principio, ovvero nella profondità originaria, nel fondamento che permette alle cose di esistere… precisamente lì siamo ricondotti. E già questo è un annuncio, un messaggio, è vangelo: c’è un principio, esiste un’origine che arreca una promessa ed è possibilità di vita per tutti. Non siamo in balìa del nulla o di un capriccioso fato da interpretare o da subire passivamente. Una Parola sapiente sta all’origine, al cominciamento di tutto ciò che noi vediamo e crediamo. Tutto ciò che esiste trova nella Parola la sua ragion d’essere.
Addirittura Giovanni presenta questa Parola ancor prima di Dio. Dio si è affidato alla sapienza della sua stessa Parola per rivelarsi. Non possiamo scoprire Dio prima della Parola; nella Parola Lo scopriamo. È possibile pensare, cercare, aprirsi a Dio solo per mezzo della Parola. Sta Lei “in principio di tutto”.
La venuta di Gesù nella storia è possibile coglierla, in tutta la sua potenzialità rivelativa, solo nella prospettiva di una sapienza originaria alla quale Egli stesso appartiene. Nulla esiste al di fuori della Parola. Ciò significa che il nucleo fondante del nostro esistere sta nella relazione, esattamente in quella relazione che la Parola innesca e rende possibile.
Non c’è parola senza relazione. La Parola, infatti, è rivolta verso qualcuno ed esiste in relazione a lui. Potremmo, allora, riformulare quel primo versetto di Giovanni dicendo: “in principio era la relazione”. Non è una Parola che contempla se stessa, il suo essere è uno stare di fronte all’altro: cerca continuamente un volto a cui consegnarsi. E la relazione con Lei genera gemme di luce e di vita.

La Parola carne

Se vivessimo veramente in questi termini il senso e l’orizzonte di ogni attimo, riscopriremmo la preziosità di ogni parola che pronunciamo e la responsabilità insita in ogni evento comunicativo. La Parola è seme di Dio in tutte le cose. In ogni cosa creata c’è un suo riflesso. Dovremmo abitare la vita, attraversare il creato con occhi capaci di scorgere questo rispecchiarsi della Sapienza originaria in quanto ci circonda.
Primo Levi nel suo libro ‘Il sistema periodico’ afferma: “Tutto intorno a noi è un mistero che preme per svelarsi”.

E questa Parola ha una specifica caratteristica: non è mai ferma! È in continua evoluzione ed estensione. A chi la accoglie confida pienamente le sue intenzioni. E compie il suo desiderio più intimo: farci divenire figli di quel Dio che Essa stessa racconta e rivela, quel Dio che La pronuncia da sempre nel sottile silenzio del suo mistero.
Il compimento di questo viaggio della Parola nella storia, l’evangelista Giovanni lo contempla in quel celebre versetto 14 del suo prologo che trovo affascinante lasciarlo risuonare nella sua originaria lingua greca: “O logos sarx egheneto” ovvero: “la Parola carne divenne”. Quella Parola che da sempre era, ora diviene. Il suo essere principio eterno e fondativo conosce ora l’avventura del divenire, dell’accadere. Sperimenta l’incerta traiettoria del “farsi”, dell’evolversi.
Altrettanto interessante l’ossimoro che si crea congiungendo (senza alcun segno di interpunzione tra l’uno e l’altro) i due termini: parola carne. È nella carne che ora la parola manifesta pienamente se stessa. E quella carne assunta dalla Parola, proprio grazie a Lei può sprigionare tutte le sue potenzialità liberandosi da quelle mortificazioni e moralismi che l’hanno afflitta e soffocata.
Mortificazioni e moralismi non ancora superate/i nelle nostre stesse chiese che tentano di custodire e tramandare la memoria di quell’impensabile connubio.
È la nostra condizione carnale, con tutto il suo carico di vulnerabilità e limitatezza, di fragilità e debolezza, la realtà in cui la Parola diviene. Incessantemente. La carne, dunque, non è ostacolo o schermo da cui liberarci per poter accedere alla conoscenza della nostra appartenenza alla Parola. La luce della carne umana svelata da Gesù è il luogo del manifestarsi stesso di Dio.

Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,
sentire gli odori delle cose,
catturarne l’anima.
Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.
Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore. (Alda Merini)

Dio ama l’uomo. Dio ama il mondo

A questo riguardo, trovo di una insuperabile chiarezza questa riflessione di Bonhoeffer che intendo riportare integralmente:

Guardate Dio divenuto uomo, guardate l’imperscrutabile mistero dell’amore di Dio per il mondo. Dio ama l’uomo. Dio ama il mondo. Non un uomo ideale, ma l’uomo così com’è; non un mondo ideale, ma il mondo reale. L’uomo e il mondo nella loro realtà, che a noi paiono abominevoli per la loro empietà e da cui ci ritraiamo con dolore e ostilità, sono invece per Dio l’oggetto di un amore infinito che lo unisce a loro nel modo più intimo: Dio diventa uomo, vero uomo.
Mentre noi cerchiamo di superare la nostra umanità e di lasciarcela indietro, Dio diventa uomo. E dobbiamo renderci conto che egli vuole che anche noi uomini siamo veri uomini. Noi facciamo distinzioni fra pii ed empi, tra buoni e cattivi, tra nobili e comuni. Dio ama l’uomo vero senza distinzioni.
Dio si pone a fianco dell’uomo vero e del mondo reale contro tutti i loro accusatori… Chi disprezza l’uomo disprezza ciò che Dio ha amato, anzi, disprezza la figura di Dio che si è fatto uomo

“…E pose la sua tenda in mezzo a noi”; così prosegue quel quattordicesimo versetto, apice dell’inno giovanneo all’inabilitazione del Verbo in noi. Non un tempio, dunque, non una dimora ma: una tenda. Dio non abita l’immobilità, non sceglie luoghi statici ma spazi dinamici, capaci di creare sempre nuove vicinanze e sorprendenti forme di prossimità. Sono vicinanze segnate dal desiderio del viandante, di colui che vive alla ricerca di orizzonti sempre inesplorati:

E forse più che una casa,
spenta immagine della mia fissità,
ho sognato per il tuo amore una tenda, caldo rifugio per una notte.
Ma subito è il miracolo dell’alba
e tu, instancabile,
la vai arrotolando
alla ricerca di nuovi orizzonti.
Sempre oltre
per ininterrotti sentieri
che solo l’amore inventerà. Andare di terra in terra,
di amore in amore perdutamente
e all’ultimo orizzonte scoprire che Dio non era
nelle stanche parole
nel gelo dei monumenti.
Era nel brivido
del tuo inquieto cammino. (A. Casati)

Chiamati a cercare nuove parole

E, per tornare a quel principio originario che è la Parola, alla luce di questa parabolica evoluzione a cui l’umanità di Gesù ci ha aperti e introdotti, non sarà che oggi siamo ancor più chiamati a cercare nuove parole per narrare quel potenziale di bellezza, senso e mistero che abita in ogni carne?

In luoghi abbandonati
noi costruiremo con mattoni nuovi. Vi sono mani e macchine
e argilla per nuovi mattoni
e calce per nuova calcina.
Dove i mattoni sono caduti costruiremo con pietra nuova. Dove le travi sono marcite
costruiremo con nuovo legname. Dove parole non sono pronunciate costruiremo con nuovo linguaggio. C’è un lavoro comune
una Chiesa per tutti
e un impiego per ciascuno. Ognuno al suo lavoro. (T. S. Eliot)

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