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Poesia di straordinaria intensità su un tema pasquale e inattuale: morte e morti.
La bellezza, la semplicità. E la liturgia

Poesia “pasquale” sulla morte e sui morti

Ho visto la notizia su “Lire” e ho immediatamente comperato via internet sul mio ebookreader l’ultima pubblicazione di François Cheng, il singolare uomo di cultura di origine cinese, naturalizzato francese, membro dell’Académie. E’ nato nel 1929.

L’opera è “Suite orphique”. Sono 99 quartine. Affascinanti.

Traduco i primi. La dedica dell’opera è “A mia madre”.

Non dimentichiamo i nostri morti né la nostra morte;
E’ il dover-morire che ci spinge verso lo slancio.
Dall’indicibile al canto, la nostra voce è orfica,
Trasmutando gli assenti in ardenti presenze.

La morte non ci separa affatto dai nostri morti, ci orienta
Alla loro trasformazione. Entriamo in scambio con loro
In vista del cambio. Ogni aspirazione che sale partecipa
Dell’indivisibile Soffio che senza sosta muta la Via.

I morti sono tra noi, si mischiano con le nostre ore
Intimandoci di stare all’ascolto… Iniziati,
Attraverso la prova abissale, al gran segreto,

Non conosceranno sosta se non dopo avercelo svelato.

François Cheng

Raffinati e semplici

Sempre su “Lire” leggo un’intervista alla scrittrice Eveline Bloch-Dano. L’intervistatore chiede quale casa di scrittore le è maggiormente piaciuto. Bloch-Dano risponde che è la casa di Jean Giono.

Lo scrittore provenzale aveva arredato con molto gusto la sua casa, al di fuori degli schemi correnti dello scrittore che, molto legato alla Provenza, viene collegato spesso alla lavanda (si coltiva soprattutto in Provenza) e al pastis (antipasto alcoolico che ha avuto origine a Marsiglia). E commenta: “Era un uomo di gusto, un esteta bibliofilo, che ci ricorda che si può essere raffinati, pur restando molto semplici”.

La raffinatezza legata alla semplicità mi ricorda molto quello che dovrebbe essere lo statuto di fondo della liturgia. Molte liturgie sono rivoluzionarie, ma sguaiate. Molte altre sono rigorose, legate a quello che “si deve fare”, ma ingessate. La raffinatezza lega insieme il rispetto delle regole del “fare”, al senso acuto del bello nel “modo di fare”. Raffinati e semplici. Equilibrio difficile. Forse è per questo che la buona celebrazione si chiama “arte del celebrare”. 

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