Don Sergio arrivò come parroco a Redona nel 1981, a circa 15 anni dalla riforma liturgica ispirata dal Concilio: messa in italiano, altare verso il popolo, sede del celebrante che presiede, ambone per la proclamazione e la traduzione nell’oggi della Parola di Dio, battesimo comunitario, cristiani chiamati “comunità”.
Questo comportava anche l’adattamento liturgico delle nostre chiese. Don Sergio ci si è buttato con entusiasmo, partendo da ciò che era già stato fatto dagli immediati predecessori (altare provvisorio già in funzione nella posizione bene azzeccata e quindi in attesa di essere disegnato e costruito in forma più solenne; banchi del transetto rivolti verso l’altare; nuovo portale d’ingresso, in legno, architettonicamente imponente ed elegante, con sculture decisamente belle e significative).
celebrare come comunità radunata dal suo Signore, nel proclamare ed ascoltare la Parola
Ma la vera continuazione consisteva nel proseguire nello sforzo di celebrare la messa bene, nel celebrare come comunità radunata dal suo Signore, nel proclamare ed ascoltare la Parola, nel compiere gesti genuinamente sinceri, nei silenzi-preghiere e canti che sapessero di adorazione, di sguardi che creino fraternità.
La tradizione inoltre ci ha lasciato una bella e spaziosa chiesa con pregevoli opere, a cui attingere (calici, vesti liturgiche, tabernacolo, affreschi, vetrate e ancora ampi spazi disponibili alla nostra creatività). Massima cura di don Sergio è stata quella di rispettare il più possibile quello che è stato fatto prima di noi, ma nello stesso tempo sperimentare segni e simboli nuovi suggeriti dalle nostre esigenze celebrative ed espressive, man mano venivano a maturazione. Mai messo mano a opere nate a tavolino. La liturgia era la vera fonte di ispirazione.
Regola guida dell’operare di don Sergio: ogni novità (a parte la riapertura di due finestre con vetrate nuove sopra gli altari nel transetto) doveva essere fatta in modo da essere rimovibile. La chiesa doveva restare quindi disponibile per chi sarebbe venuto dopo di noi, liberi di esprimere al meglio la fede di sempre. Nella chiesa di Redona tutto quello che è stato fatto all’interno di essa in quel periodo è completamente rimovibile in una giornata.
Con queste premesse, passiamo brevemente in rassegna ciò che è stato prodotto, aggiungendo questa ulteriore e doverosa nota: sul nostro territorio erano presenti ed erano quotidianamente raggiungibili: un falegname in pensione semplicemente geniale e in possesso di una invidiabile manualità, due artisti molto sensibili al sacro, due architetti (uno autore di molti adeguamenti di chiese e l’altro particolarmente sensibile ai temi religiosi e all’ambiente) e una famosa e collaudata ditta di restauro fornita anche di un ottimo laboratorio di vetrate per restaurare e produrre nuove opere.
Si entra in chiesa prima di entrare. La trasformazione degli spazi esterni e della facciata
Ogni edificio ha un dentro e un fuori. Una delle prime intuizioni è stata quella di trasformare il prato antistante la chiesa, divenuto praticamente un parcheggio disordinato (pur avendo una bella fila di alberi), in un decoroso viale d’accesso : non si entra di colpo in chiesa; devi avere un po’ di tempo e di spazio come filtro per un minimo di raccoglimento; devi renderti presente a te stesso e a Dio. E devi essere cosciente che incontrerai dei fratelli. In questo spazio si può anche sostare: sono di aiuto una nuova fontanella e delle panchine.
Accanto alla gradinata che fa salire alla chiesa , da una parte e dall’altra un bel giardino con fiori, cipressi e olivi (olivi fino ad allora assenti in Redona). Sulla facciata della chiesa, che già godeva di un bel portone fatto di recente, don Sergio fece incastonate nove facce di teste scolpite nella pietra. Qui il numero non possiede alcun simbolismo, qui ad essere simboliche sono le stesse facce, di sapore arcaico: da sempre l’uomo sa di essere avvolto dal mistero. Chi le ha fatte era un artista famoso per questo stile di arcaica potenza.
Al mare ci andava ogni anno, ma non riusciva a stare con le mani in mano. Ogni anno torva a casa con delle teste di pietra. Nessun committente, ma un’inaspettata richiesta di un prete, che spesso guardava ad orizzonti lontani, fece loro trovare casa.
L’operazione esterna proseguì anni dopo con due altre opere in pietra, di un autore più giovane, ma dotato di forza interiore capace di produrre una bellezza robusta e compatta e molto comunicante. Si tratta dell’”agnello sacrificale” e del gufo”, collocati in alto, accanto alla parte superiore della porta d’ingresso di sinistra, vicino alla strada. Qui viene sussurrato a chi passa qualcosa della fede nel crocifisso, che i cristiani pongono al centro del loro credo. Ma qui si sussurra anche un piccolo omaggio da rendere ai tanti martiri innocenti del nostro mondo.
Ora entriamo in chiesa. Tutte e tre le porte ti fanno attraversare un ulteriore piccolo filtro: qui puoi fare il segno della croce con l’acqua santa in entrata e leggerti gli avvisi in uscita. Tutte e tre hanno ricevuto con don Sergio un supplemento di bellezza artistica che canta l’acqua, il fuoco, lo Spirito e l’uomo.
Dentro subito appare accogliente la grande pedana che ospita l’altare, l’ambone e la sede del celebrante. Nei suoi ultimi anni don Sergio ha fatto propria l’idea di un ciborio, una specie di tetto che sta sopra l’altare. E’ in vetro con dei bei colori. Dà l’idea dello Spirito che aleggia. Ha il compito di proteggere la cosa preziosa che vi sta sotto e aiuta a rendere meno prepotente la cupola, bella e altissima, così da concentrare l’attenzione sulla Parola e sul Pane di vita.
Volendo portare l’altare verso i fedeli, un terzo della chiesa rimane alle spalle. Ecco nascere allora la grande strisciata d’oro che sta sopra le balaustre : sono le icone, che si ispirano all’oriente, dove l’arte resta contemplativa. In quegli anni sono state un prestito prezioso all’occidente, che faceva fatica a fidarsi dell’arte. L’autore incaricato di realizzarle era ricco di quella spiritualità. Ha mostrato inoltre una tecnica sopraffina. Sono belle. Anche oggi certi commenti di don Sergio a qualcuna di queste icone ce li gustiamo ancora e con frutto.
Questa fascia d’oro che sembra avvolgere l’altare lascia uno spazio vuoto centrale, che permette di accedere al tabernacolo. Qui è nato l’altissimo arco che centralizza il grande crocifisso (con ai lati Maria e san Giovanni apostolo, opera che era stata realizzata negli anni ’60). Questo arco ti inquadra il padrone di casa. Porta te e la comunità ai suoi piedi. Forse questo è il segno più parlante di tutta la passione liturgica di don Sergio.
Ma parlando di pittura vanno registrati due tentativi coraggiosi realizzati in quegli anni: la seconda striscia di icone che dicono con arte astratta gli stessi misteri che sono nella prima. Coraggiosa e bella. E questa ce la godiamo dall’estate fino alla vigilia dell’avvento.
I cinque grandi quadri della controfacciata formano un polittico essenziale e moderno che rappresentano la condizione umana
E soprattutto dobbiamo segnalare i quadri in controfacciata. Audaci, e molto. Per non andare allo sbaraglio, don Sergio ha chiesto la benevola approvazione della curia. Si tratta di cinque grandi quadri che formano un polittico essenziale e moderno che rappresentano la condizione umana in quattro dimensioni fondamentali: il rapporto can la natura, il rapporto con la civiltà, l’amore, il dolore e la morte. Il quinto, arrivato dopo e posto al centro, indirettamente si riferisce al Risorto, ma vuole rappresentare l’uomo nuovo che tutti sogniamo di diventare.
I quadri sono stati, prima dell’installazione in chiesa, presentati alla comunità nel Qoelet, la sala della comunità che spesso offre film, teatri o dibattiti sulla condizione umana. In chiesa non appaiono affatto ingombranti perche formano una striscia che abbraccia una parete vuota, che ha solo la vetrata di san Lorenzo lassù in alto. Qualche mugugno per un nudo c’è stato e c’è, ma quasi impercettibile.
Per quanto riguarda il battistero: esso è stato collocato nell’ampio spazio antistante l’altare, liberato del vecchio, monumentale e alto coperchio (che rappresentava un edificio-chiesa e che è diventato la custodia dei santi oli). Sta bene dov’è e anni di celebrazioni confermano la bontà della scelta. Il vecchio coperchio è stato sostituto con uno basso con il Cristo dipinto che, come una fonte, feconda la terra e la battezza.
Per tutto il resto, c’è tanto da elencare. Mai una cosa fatta in serie. Ci sono tre grandi evangeliari, anno A,B,C, scritti e dipinti a mano ; due calici fatti a mano con una decina di piatti per la comunione ai fedeli (tutti in legno), l’albero del coro, le casule progettate e decorate da un’artista, sette pannelli che fanno da paliotto per l’altare nelle feste grandi e nei diversi periodi liturgici, il banco per gli sposi, il catafalco e il cero pasquale per i funerali, due nuove vetrate nel transetto, un porta-cero collocato ai piedi del vecchio altare per onorare il tabernacolo, un crocifisso e un altare per la chiesa minore, una grande Deposizione (tela dipinta) per la casa parrocchiale, utilizzata sia nel passato sia di recente nella chiesa grande.
Donne e uomini sembravano quei personaggi del polittico scesi dai quadri per abbracciarsi uno a uno. E don Sergio: adesso sarei pronto anche a morire
Un anno, al termine di uno dei riti del triduo santo, don Sergio con gli altri preti si diresse alla sagrestia per deporre le vesti liturgiche, che ancora sapevano di fiamme di fuoco, di acqua che scorre e tutto lava, di pane spezzato, di canti a volte dolcissimi e a volte esplosivi. La comunità invece si attardava in chiesa a scambiarsi gli auguri nell’attesa di farli ai sacerdoti. Donne e uomini sembravano quei personaggi del polittico scesi dai quadri per abbracciarsi uno a uno. Quando ebbe finito di deporre le vesti del rito, don Sergio ci guardò un po’ trasfigurato e disse: ”Adesso sarei pronto anche a morire”.
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