Le parrocchie. Le fatiche. La necessaria sperimentazione

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Le parrocchie. Le fatiche. La necessaria sperimentazione

La crisi di identità e le grandi fatiche.
Il rischio di non fare nulla solo perché non si riesce a fare tutto.
Necessario l’inizio di una sperimentazione per preparare il futuro

Le parrocchie fanno molta fatica, soffrono di una crisi di identità, i molti problemi vengono scaricati sulle spalle dei preti e questi sentono pesantemente e la crisi della parrocchia e quella della figura stessa del prete e, più in particolare, del parroco. Sono stati questi i temi di cui abbiamo parlato negli articoli pubblicati nei giorni scorsi, ultimo quello di Daniele Rocchetti, apparso ieri sul nostro blog. 

Immaginare la parrocchia del futuro

 Ma non basta guardare alle fatiche di oggi. Bisognerebbe farle rendere. Bisognerebbe, cioè, prendere atto dei problemi che ci sono e provare a immaginare qualcosa di nuovo, come costruire, partendo da questo passato e da questo presente, un futuro diverso. 

Si sente ripetere, da diverse parti, quali dovrebbero essere le caratteristiche di parrocchie future. Si sente ripetere che le comunità cristiane future saranno, anzitutto, molto più piccole, molto più povere di strutture, legate a territori più vasti… Insieme si sente parlare, qua e là, di alcuni tratti che dovrebbero caratterizzarle: meno clericali, più laicali, più comunitarie in tutto: nella gestione delle strutture, nelle attività di servizio, nella liturgia… con compiti sempre più diversificati. Eccetera. Eccetera.  

Quando si sentono queste “litanie” chi vorrebbe cambiare si sente scoraggiato perché le cose da fare sono troppe e chi vorrebbe conservare si sente confermato, per lo stesso motivo, nella sua avversità per il nuovo.

Definire una delega massiccia di responsabilità. Il prete non può continuare a fare tutto

Non si può pretendere di rifondare, con qualche riga, un’istituzione che è lì da secoli. Ma vorrei fare una considerazione di metodo, in rapporto, proprio, alle molte cose da fare.

Siccome non si può fare tutto, ci si sente autorizzati a non fare nulla. E se, invece, tra il sognare tutto e il non fare niente, cominciassimo a fare qualcosa? (qualcosa che, forse, in forme timide e sperimentali, in piccola parte, si fa già, in qualche angolino del regno. Ma non se ne sa nulla. O quasi).

Provare con preti e laici che “ci stanno”

Molto semplicemente. Proviamo ad avviare qualche esperimento. Proviamo a creare alcune poche parrocchie in cui tutte le incombenze economiche e amministrative sono delegate ai laici, la gestione delle strutture anche, la presidenza e la segreteria dei consigli anche… la presidenza dell’oratorio e eventuale gestione del bar e delle attività sportive anche… Il tutto definito, però, definito giuridicamente. Non qualcosa affidato alla buona volontà, ma alla volontà, definita appunto, dall’alto. Non “fare quello che volete” ma “fate quello che dovete” e quello che dovete ve lo definiamo. Poi lo rivediamo, poi, lo cambiamo, se necessario. 

Per fare questo bisogna scegliere le parrocchie in cui fare l’esperimento, scegliere i preti che ci credono, incaricarli di avviare tutto, rendere conto perché il loro esperimento riesca a essere riproposto in altre eventuali future parrocchie. 

Tra poco arriverà la gragnuola delle destinazioni nella diocesi di Bergamo. Voci sussurrate dal colle dicono che saranno molto numerose. E se in queste molte se ne scegliessero due o tre per provare? Bisogna che vescovo, vicario generale, vicari episcopali ci credano. Ci vuole una linea che vada in quella direzione. E decidere in base a quella linea. Altrimenti continuerà la solita solfa. Decidere la linea è difficile. Siccome non c’è la linea non si decide. E continuiamo a fare come sempre per continuare a vivere tutti infelici e scontenti. 

L’assurdo: un prete responsabile di 23 parrocchie

In una recente riunione presso la redazione della Rivista “Servizio della Parola” della editrice Queriniana, un partecipante ha fornito un dato. In una diocesi della Toscana un prete è titolare di 23 parrocchie. Ci sono stati risparmiati i dati che riguardano zone dell’Emilia Romagna, della Liguria, del Piemonte… Per non parlare, poi, della Francia “paese di missione”, da diversi decenni a questa parte. Questo è ciò verso cui vogliamo andare? Cioè: prendere atto che le parrocchie non esistono più e quel poco che resta lo usiamo per strozzare i pochi preti rimasti e i pochissimi che rimarranno in un futuro ormai non lontanissimo? Questa è la Chiesa che vogliamo consegnare alle generazioni future?

E’ sbagliato fare tutto perché non si può. E’ sbagliato non fare niente perché è comodo. Ma, forse, è ancora più sbagliato non fare – almeno – qualcosa. 

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