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I valori maturati nell’esperienza di un’azienda.
I valori che dovrebbero governare chi governa.
Antichi “sogni” dei Costituenti non ancora realizzati

Sono un imprenditore che ha compiuto lo scorso anno 50 anni di esperienza professionale, essendo stato il fondatore 51 anni fa di un’azienda produttrice ed innovatrice di prodotti lubrificanti per l’industria. Ho donato l’azienda ai miei figli alcuni anni fa, dopo che mi avevano dimostrato (soprattutto durante la crisi del 2008-2009) di essere in grado di gestire l’azienda meglio di me.

La mia azienda. L’etica

Durante la festa del 50° dell’azienda, sono stato intervistato da alcuni miei dipendenti sui valori sui quali l’ho fondata, essendo ora una società con 60 addetti, 20 agenti di commercio e ca. 40 milioni di fatturato.

Ho riflettuto a lungo, per poi concludere che ogni imprenditore dovrebbe basare la sua attività su 4 principi:

  1. TRASPARENZA: significa lealtà, mantenere la parola data, sincerità sempre, correttezza commerciale e fiscale. Senza la trasparenza, viene meno la fiducia e senza la fiducia non si costruisce nulla di solido e duraturo.
  2. COMPETENZA: è ovvio che devi sapere che cosa produci, come lo devi produrre, quali proprietà e quali applicazioni deve avere il prodotto finito.
  3. RISPETTO: verso dipendenti e collaboratori innanzi tutto, verso i loro bisogni e le loro necessità, verso i clienti, ma anche verso fornitori e concorrenti: sì, anche verso i concorrenti, perché questo aumenta la tua dignità professionale e la tua affidabilità.
  4. DISPONIBILITA’: a risolvere i problemi che ti vengono sottoposti, perché questi sono sì motivo di preoccupazione, ma sono anche lo strumento necessario che ti aiuta a crescere e ad innovarti.

In sostanza, senza rendermene conto, avevo costruito giorno dopo giorno la “mia” azienda sull’ETICA, che non è solo “il rispetto della legge”, ma molto, molto di più. 

Anche in politica, l’etica

Sono convinto che, in Politica, questi stessi principi devono essere alla base del rapporto tra un politico ed i suoi elettori ed il fondamento dell’identità stessa del Partito di appartenenza. In più, il politico deve agire sempre nell’interesse del “bene comune”, per servizio, e certamente non per perseguire un interesse privato. Solo così, in un rapporto rigorosamente fondato sull’etica, egli può e deve ottenere il sostegno dei suoi elettori.  

Purtroppo ciò avviene ormai in casi piuttosto rari, mentre il sistema è largamente inquinato, se non da comportamenti talvolta illeciti, da comportamenti non certo “etici”.

Da ciò deriva la sfiducia dei cittadini nei confronti della Politica e quindi l’astensione dal voto.

Alcune “cose da fare”

Un’altra causa non certo secondaria dell’astensione è la mancanza di chiarezza sulle azioni concrete da mettere in atto per affrontare i gravi problemi sociali del giorno d’oggi.

Ne cito alcuni. 

  1. Lotta alle disuguaglianze: non deve essere solo uno slogan, ma deve tradursi in proposte concrete. Dal mio punto di vista di imprenditore mi pare fondamentale dare attuazione all’ Art. 39 della Costituzione, sulla registrazione dei Sindacati che possono stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria. Bisogna finirla con la sconcezza dei contratti pirata – sono più di 900! – che hanno solo lo scopo di mantenere in essere condizioni di sfruttamento dei lavoratori dipendenti. Basta con i lavori non regolamentati, come gli stages o le false cooperative o le false partite IVA, basta con il caporalato, ancora così diffuso. Dare anche attuazione all’Art. 46 della Costituzione, anch’esso mai applicato, e che, lo ricordo, recita: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Sono articoli che stanno aspettando 75 anni di trovare attuazione: che cosa c’è ancora da aspettare? E questo lo dico da imprenditore, perché trattare con dignità e rispetto i lavoratori e coinvolgerli nella gestione delle aziende accresce la produttività e la competitività delle aziende. Quindi, si fa business. 
  2. Stop al consumo di suolo: non basta dirlo, è necessario far arrivare ai Comuni i fondi necessari per non dover più utilizzare gli oneri di urbanizzazione per le spese correnti, per piantare alberi, per creare boschi urbani, parchi e giardini pubblici, per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici: insomma, il verde non può essere solo un bene privato; inoltre, l’urbanistica non deve più essere lasciata nelle mani di sindaci di piccoli o piccolissimi comuni, che hanno fatto e fanno tuttora scempio dei loro territori, ma essere affidata ad organismi sovracomunali, adeguatamente preparati.
  3. Reddito di cittadinanza: era molto meglio il REI, il Reddito di Inclusione, che coinvolgeva, nella lotta alla povertà, Comuni, Enti territoriali, assistenti sociali, ONLUS, Parrocchie, che, diffusi capillarmente sul territorio, ben conoscevano i bisogni delle singole famiglie e si coordinavano tra loro per sostenerle. Invece di abolirlo, inglobandolo nel reddito di cittadinanza, andava adeguatamente finanziato. Contemporaneamente, andavano regolamentati i rapporti tra ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive per il Lavoro – n.d.r.) e CPI, (Centri Per l’Impiego – n.d.r.) con personale qualificato per migliorare ed estendere il rapporto tra scuola ed impresa, essenziale per migliorare sia la formazione scolastica sia le competenze professionali soprattutto delle piccole imprese. 
  4. Immigrazione: dobbiamo farci portatori in Europa di proposte precise e concrete, come ad esempio quella di fare dell’Italia e di Sicilia e Calabria in particolare, un hub europeo, gestito dalla UE, per l’accoglienza, la formazione e l’inserimento dei migranti. Insomma, invece di dare 6 mld all’anno ad Erdogan, facciamoli dare a noi per investire risorse economiche ed umane sui nostri territori a rischio di abbandono.
  5. In Europa: dobbiamo sostenere con forza lo STOP alla vergognosa pratica del dumping fiscale* e del dumping salariale**, minacciando addirittura la violazione dei patti comunitari in caso di mancato accoglimento.

*Il dumping fiscale è quella pratica attuata da alcuni Paesi della Comunità Europea per cui viene applicata una fiscalità di vantaggio per le società che trasferiscono la propria sede sul loro territorio.

**Allo stesso modo, il “dumping salariale” è la pratica per cui alcuni Paesi della Comunità attirano aziende da altri Paesi, garantendo loro manodopera a basso costo

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