Kharkiv pur sotto i bombardamenti è costretta ad accogliere migliaia di persone in fuga dal fronte. Un’ondata che si sperava di non vedere più. Innanzi a queste immagini e a quelle che provengono da Gaza le mie convinzioni pacifiste e non violente sono messe a dura prova. Ma poi mi rendo conto che cercare di essere uomini pacifici e nonviolenti in tempo di guerra e di oppressioni è difficile ma credo che questo sia un modo per sostenere la resistenza degli ucraini, di mantenere viva l’idea che la libertà sia il non piegarsi alla logica guerresca e delle armi che sta dominando il mondo.
E’ un modo per dimostrare che nonostante il nostro essere collocati in questo fosco e indescrivibile presente non possiamo accettare la dissoluzione delle speranze, ma che è arrivato il tempo di dare alle stesse maggior concretezza. In questo processo di resistenza culturale e sociale dobbiamo avere la forza e il coraggio di prendere congedo dai principi astratti che tante volte, in buona fede, proclamiamo ma che data la loro astrattezza non sono capaci di tutelare le persone e schierarci dalla parte dei perdenti. Perché tutto sommato viviamo contro la guerra in paesi che ancora non la vivono.
Perché quando le guerre menzionate finiranno e apriranno la possibilità che si possano chiudere i 184 conflitti armati che sono aperti nel mondo non ci saranno vincitori, ma tutti perdenti da sostenere, speranze da ripristinare e la dedizione alla cura dei corpi feriti e mutilati, alle persone esodate e alle case distrutte e alla ricostruzione di nuovi luoghi da abitare. Ma soprattutto servirà rinvigorire le anime e far rifiorire gi spiriti per sconfiggere la disperazione e il desiderio di vendetta o di rivalsa.
Per queste ragioni occorre che oggi, collocati in un tempo di guerra e di risorgenza bellicista, prendere congedo da ogni violenza “giusta”. Mi rendo conto che non è facile fare fronte a simili tragedie e che non basta dichiararsi pacifisti per avere la coscienza a posto.
Il problema principale che abbiamo come pacifisti è che veniamo ripetutamente contestati con un’immagine distorta del pacifismo: siamo accusati che il nostro pacifismo totale sia senza cuore e cieco. E questo ci costringe a mettere alla prova la nostra visione di pacifismo e sconfiggere il pregiudizio che sia una ideologia fuori dalla realtà e forsanche pericolosa.
La domanda a cui dobbiamo rispondere. il Pacifismo in tempo di guerra: è possibile? Una sua difesa, nonostante la barbara guerra di aggressione in Ucraina e il massacro dei palestinesi a Gaza, come si combinano? La mia ipotesi è questa: non bastano più le dichiarazioni ideali ma la guerra che si svolge nell’epoca post-moderna e con l’uso di sofisticati strumenti tecnologici può essere contrastata con un “pacifismo pragmatico”.
Non ho mai creduto che fossimo vissuti in una società pacifista e nella retorica che i 70 anni di pace in Europa fossero reali. Siamo vissuti in un bel periodo senza guerra, perché le stesse sono state decentrate fuori dai nostri confini. C’era solo un ampio consenso sul fatto che non dovevamo preoccuparci molto della guerra e della pace in Europa. Ma questo non è pacifismo: il pacifismo non è un evento di bel tempo, ma un atteggiamento che diventa importante quando il gioco si fa duro.
Ci sono diversi concetti di pacifismo:
Un pragmatismo che non rinuncia ai riferimenti ideali e che pertanto li incardina in una azione di costante e permanente mobilitazione culturale e popolare attraverso la diffusione della contrarietà alla guerra, l’apertura e la sperimentazione di percorsi civili, sociali e individuali nonviolenti e il far crescere una richiesta popolare verso coloro che dispongono del potere e dei mezzi economici di rendere possibili e diffuse le modalità di tutela civile e di giustizia per rispondere e curare le ferite che le guerre stanno profondamente inferendo.
Inoltre, insistere perché si realizzi nuovo ordinamento internazionale dopo quello che è stato lacerato? Oggi più che mai servono istituzioni di giustizia internazionale, facenti capo ad un’ ONU rinnovato in senso democratico, rendendolo capace di porsi al di sopra delle alleanze militari ma anche di condurre, in casi estremi, operazioni di polizia, di interposizione, di restaurazione della non belligeranza e un’intera gamma di forme di pressione diplomatica, politica, sociale ed economica, che agendo in modo interdipendente e interculturale possano avere un certo grado di efficacia.
Siamo a pochi giorni dal voto per il rinnovamento del Parlamento Europeo. Ci stiamo avvicinando senza gioia ed entusiasmo come invece dovrebbe essere il giorno del voto per una democrazia. Nel dibattito elettorale si parla di molte cose ma non si affronta con la dovuta determinazione il senso e il significato che possono avere, per noi e per il futuro, le guerre in Ucraina e Palestina/Israele.
Non bastano più le vecchie dicotomie del passato che animano il dibattito politico perché in questo nostro tempo se ne inserisce una nuova: quella tra violenza/nonviolenza che va assunta nel contesto delle trasformazioni e delle metamorfosi attuali.