Il coraggio dell’incontro e del racconto

I have a dream
Ottobre 6, 2022
Per un cristianesimo che sia profezia per l’oggi
Ottobre 8, 2022
Occhi negli occhi/2
Esperienze dure raccontate
Dal carcere

Verziano, marzo 

All’inizio vita povera e dura, violenta e fredda

Ilaria lo aveva interrotto, l’unica ad osare, a metà dello stesso racconto di quindici giorni prima con gli stessi toni e le stesse immagini. Il racconto della sua infanzia nel villaggio dell’est: vita povera e dura, ingiusta, vita violenta ed anche fredda, tranne le mani e gli occhi della madre. Quella madre che non aveva saputo difendere dalla violenza del padre. 

Era stato il racconto di una vita senza speranza, solo sopravvivenza tra regole e relazioni già segnate, in un destino di dipendenza. Anche la scuola, facile per uno sveglio come Marko, non era riuscita per aprire il tempo. Negli occhi le immagini alla televisione di altre infanzie e giovinezze ingiustamente più felici e piene, e la rabbia provata. Poi  la fuga alla prima occasione sul camion, la clandestinità, i primi soldi. E ancora la violenza. E l’arresto, la rabbia, il lungo silenzio.

il sangue sul volto della madre, lo sputo in faccia al padre dopo la rapina, l’urina e le lacrime dell’ultima vittima.

Marko aveva rifiutato l’anno prima di incontrare il gruppo dei giovani dell’università: “che vengono allo zoo…”, e i racconti dei concellini non l’avevano toccato. Quest’anno aveva voluto venire a vedere questi “figli della vita facile”. E già alle presentazioni aveva voluto segnare un punto, e la distanza. Aveva aggiunto ai racconti preparati per avvocati e giudici un po’ di liquidi: il sangue sul volto della madre, lo sputo in faccia al padre dopo la rapina, con la pistola in mano, l’urina e le lacrime dell’ultima vittima. “Son qui: chi dice che me lo merito?” 

Due settimane prima non c’era stato tempo di riprendere quello in altri racconti o di rispondere, il tempo era scaduto. Ora la replica, ma Ilaria, con le braccia tatuate come le sue e una piccola zigurrat di treccine in testa, dopo un poco era entrata in una sua pausa di silenzio e aveva dato parola alla sua di rabbia, quella di allora, contro il padre e l’abbandono, le ingiustizie dell’indifferenza e dell’inefficienza attorno. E aveva ben descritto  l’insulto dei privilegi che abitavano vicino alla miseria di famiglie come la sua. La rabbia era diventata il bullismo agito, i furti non scoperti. Poi, un giorno, lo schiaffo di sua madre, e il pianto di lei, la sua malattia, la sua mancanza. Poi in comunità, la fiducia testarda dell’educatrice, “grande danna”, le prime responsabilità non scansate.

Marko e Ilaria, figlio e figlia

E lavoro, e studio, e ora l’università che la madre sarebbe svenuta d’orgoglio. E il servizio civile internazionale in Madagascar: “c’è qualcuno che sta peggio anche di come stavo io da piccola.”  E la chiusa: “Che te ne fai della rabbia?”

Occhi negli occhi Marko e Ilaria, come soli tra gli  altri immersi tra pensieri. Figlio e figlia. 

…per incrociare Ilaria con un breve sorriso, un saluto con gli occhi. Come su una soglia.

Poi il cerchio era ripreso, e altri uomini avevano parlato di sé e dei figli, altri giovani uomini e donne avevano parlato di padri e madri. Al saluto Marko aveva esitato, tra gli ultimi a seguire l’ispettore, per incrociare Ilaria con un breve sorriso, un saluto con gli occhi. Come su una soglia.

Quando l’esistenza perde la sua fiducia nel suo “oltre”, in un “al di là” di sé stessa e di quel che vi è stato determinato, a volte il fallimento, si può perdere  il senso di un nuovo inizio possibile.

Giovani vite, tese ed anche affaticate, in tessitura e nella domanda, all’incontro con biografie e valori di uomini e donne nella pena e nella fatica a credere e sperare ancora. Riportano una difficile “eccedenza”, il cercare novità e altro inizio, la ricerca della forza di vivere, in un nuovo gioco e in un altro scambio. 

Leggi anche:
Lizzola 1
Lizzola 2

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *