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Occhi negli occhi/1
Un’esperienza
Una presa di posizione coraggiosa

Milano, maggio

La saletta-biblioteca vicino alla sala incontri, sopra la sezione giovani-adulti, era piena di colori. Anche abbastanza ben tenuta pur con mobili scrostati e tinteggiatura antica. 

“I giovani detenuti stavano tutti ammucchiati da una parte”

 I giovani detenuti che erano venuti, un po’ curiosi (c’erano le ragazze!) un po’ spinti dall’educatrice e dal formatore del progetto “Buoni dentro”, all’inizio stavano ammucchiati tutti da una parte.

Non erano un gruppo, semmai un aggregato

Ma non erano un gruppo, semmai un aggregato: alcuni  gruppetti ridevano con battute complici chiusi in lingue diverse, separati da questi stavano altri gruppi, altri invece erano soli, muti e con occhi presenti solo a tratti. 

Anche i loro coetanei da fuori, più coesi, avevano movimenti di corpi e di occhi che si avvicinavano e si  ritraevano. Parlare ed agire in ascolto era difficile.

“Al terzo incontro una certa mescolanza si era creata”

Ma al terzo incontro, dopo il lavoro sui nomi, le presentazioni a specchio, la ripresa dei racconti d’infanzia e dei sogni d’altri su di sé, dei gesti che avevano segnato le adolescenze (un lavoro con  le nostalgie, le immagini strappate, i silenzi immobili, i pennarelli scagliati di rabbia), una certa mescolanza si era creata.

E i racconti mostravano tracce di parti del mondo lontane conosciute e vissute

Anche negli interstizi, nelle pause; gli sguardi, le parole e le domande tenevano.

E i racconti mostravano riverberi, tratti comuni, cose simili, anche tracce di parti del mondo lontane  conosciute e vissute, con  le loro lingue e le loro tradizioni. Vite giovani con vuoti, cicatrici, sorrisi, lacrime: distanze e contatti, separazioni e contatti. Tatuaggi  e gesti che comunicavano.

“Genna’ voleva solo l’inchino”

Quel pomeriggio si era in due gruppi, e c’era tensione: come sempre un paio di presenze nuove a rifare la fatica di intendersi e fidarsi. Ma la sospensione era specialmente per una presenza: magro e mani in tasca, taglio sardonico sulla bocca. Era una prova di forza, cercata la sua, di potere interno alla sezione: specie contro Evrin e Salah che invece provavano a traghettare i passi del gruppo al contatto con quelli di fuori.

Genna’ non voleva: giunto per un accoltellamento da un altro istituto voleva solo l’inchino. Il giovane curato che lo aveva accolto nella squadro di calcio non lo  voleva fare a suo padre, e a lui avevano  ordinato di “insegnargli”. Era finita male.

Lui aveva fatto solo un gesto, in faccia a Salah grosso il doppio

Nei gruppi si lavorava sulle scelte, sul coraggio e la libertà; si sceglievano immagini, brevi racconti presi da giornali, da testi. Lui aveva fatto solo un gesto, in faccia a Salah grosso il doppio: era calato il silenzio dei giovani-adulti, brusio solo degli studenti che non si erano accorti… “Il coraggio?… è sta’ ritt quann stann pe’ spara’ a tuo padre! A sfida’ è guarda’ ind à chilll casco… e acussì prenderti il rispetto di tutti”. Con sprezzo, specie per quei di fuori e le loro vite per bene.

“Una donna giovane in piedi davanti al giovane camorrista”

Attorno s’era fatta una specie di corona di corpi un poco scostati. Era allora che Enrica che era restata chinata a terra, si era alzata con la forza spontanea e leggera che sempre la muoveva e si era messa davanti a lui. Calma, ma occhi negli occhi. “Ah, sì? … davvero? – lei parlava sempre lenta e forte quasi riflettendo ad alta voce – … pensa che credevo che coraggio fosse, invece, chinarsi sui vomiti e la puzza dei corpi disfatti di poveracci alla stazione, per curarli e per  pulirli,… e magari poi portarli in ospedale. E poi in comunità, …  come fa il mio ragazzo”.

“Credevo che coraggio fosse, chinarsi sui vomiti e la puzza dei corpi disfatti di poveracci alla stazione”

Stupore, silenzio: una donna giovane in piedi davanti al giovane camorrista! Certo più sorpreso che fremente! 

“… O che coraggio fosse quello di mio padre sindacalista che difende i diritti di lavoratori sfruttati delle valli bresciane … o quello  di mio nonno partigiano, anche lui sparato, giovanissimo…”. Poi, dopo qualche secondo,  si era abbassata, con una certa noncuranza, a riprendere la ricerca di  immagini. Pian piano anche altri, ed era ripreso il brusio, poi le parole. Quasi tutti a preparare i materiali per il momento in circolo. Niente più corone di corpi.

Genna’ ed altri due no, erano tornati in sezione; i due li avremmo rivisti dopo un mese. Del coraggio e delle scelte, quel giorno, erano emerse tante contrastanti sfaccettature: era chiaro che il conflitto tra le volontà lo portavano dentro, che la scelta si legava al senso, ai legami, alle speranze. E che la speranza era da sentire, da scegliere: anche se veniva da altri, poi dovevi tu sentirla, quando si apriva un confronto tra destini.

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