Milano, maggio
La saletta-biblioteca vicino alla sala incontri, sopra la sezione giovani-adulti, era piena di colori. Anche abbastanza ben tenuta pur con mobili scrostati e tinteggiatura antica.
I giovani detenuti che erano venuti, un po’ curiosi (c’erano le ragazze!) un po’ spinti dall’educatrice e dal formatore del progetto “Buoni dentro”, all’inizio stavano ammucchiati tutti da una parte.
Non erano un gruppo, semmai un aggregato
Ma non erano un gruppo, semmai un aggregato: alcuni gruppetti ridevano con battute complici chiusi in lingue diverse, separati da questi stavano altri gruppi, altri invece erano soli, muti e con occhi presenti solo a tratti.
Anche i loro coetanei da fuori, più coesi, avevano movimenti di corpi e di occhi che si avvicinavano e si ritraevano. Parlare ed agire in ascolto era difficile.
Ma al terzo incontro, dopo il lavoro sui nomi, le presentazioni a specchio, la ripresa dei racconti d’infanzia e dei sogni d’altri su di sé, dei gesti che avevano segnato le adolescenze (un lavoro con le nostalgie, le immagini strappate, i silenzi immobili, i pennarelli scagliati di rabbia), una certa mescolanza si era creata.
E i racconti mostravano tracce di parti del mondo lontane conosciute e vissute
Anche negli interstizi, nelle pause; gli sguardi, le parole e le domande tenevano.
E i racconti mostravano riverberi, tratti comuni, cose simili, anche tracce di parti del mondo lontane conosciute e vissute, con le loro lingue e le loro tradizioni. Vite giovani con vuoti, cicatrici, sorrisi, lacrime: distanze e contatti, separazioni e contatti. Tatuaggi e gesti che comunicavano.
Quel pomeriggio si era in due gruppi, e c’era tensione: come sempre un paio di presenze nuove a rifare la fatica di intendersi e fidarsi. Ma la sospensione era specialmente per una presenza: magro e mani in tasca, taglio sardonico sulla bocca. Era una prova di forza, cercata la sua, di potere interno alla sezione: specie contro Evrin e Salah che invece provavano a traghettare i passi del gruppo al contatto con quelli di fuori.
Genna’ non voleva: giunto per un accoltellamento da un altro istituto voleva solo l’inchino. Il giovane curato che lo aveva accolto nella squadro di calcio non lo voleva fare a suo padre, e a lui avevano ordinato di “insegnargli”. Era finita male.
Lui aveva fatto solo un gesto, in faccia a Salah grosso il doppio
Nei gruppi si lavorava sulle scelte, sul coraggio e la libertà; si sceglievano immagini, brevi racconti presi da giornali, da testi. Lui aveva fatto solo un gesto, in faccia a Salah grosso il doppio: era calato il silenzio dei giovani-adulti, brusio solo degli studenti che non si erano accorti… “Il coraggio?… è sta’ ritt quann stann pe’ spara’ a tuo padre! A sfida’ è guarda’ ind à chilll casco… e acussì prenderti il rispetto di tutti”. Con sprezzo, specie per quei di fuori e le loro vite per bene.
Attorno s’era fatta una specie di corona di corpi un poco scostati. Era allora che Enrica che era restata chinata a terra, si era alzata con la forza spontanea e leggera che sempre la muoveva e si era messa davanti a lui. Calma, ma occhi negli occhi. “Ah, sì? … davvero? – lei parlava sempre lenta e forte quasi riflettendo ad alta voce – … pensa che credevo che coraggio fosse, invece, chinarsi sui vomiti e la puzza dei corpi disfatti di poveracci alla stazione, per curarli e per pulirli,… e magari poi portarli in ospedale. E poi in comunità, … come fa il mio ragazzo”.
“Credevo che coraggio fosse, chinarsi sui vomiti e la puzza dei corpi disfatti di poveracci alla stazione”
Stupore, silenzio: una donna giovane in piedi davanti al giovane camorrista! Certo più sorpreso che fremente!
“… O che coraggio fosse quello di mio padre sindacalista che difende i diritti di lavoratori sfruttati delle valli bresciane … o quello di mio nonno partigiano, anche lui sparato, giovanissimo…”. Poi, dopo qualche secondo, si era abbassata, con una certa noncuranza, a riprendere la ricerca di immagini. Pian piano anche altri, ed era ripreso il brusio, poi le parole. Quasi tutti a preparare i materiali per il momento in circolo. Niente più corone di corpi.
Genna’ ed altri due no, erano tornati in sezione; i due li avremmo rivisti dopo un mese. Del coraggio e delle scelte, quel giorno, erano emerse tante contrastanti sfaccettature: era chiaro che il conflitto tra le volontà lo portavano dentro, che la scelta si legava al senso, ai legami, alle speranze. E che la speranza era da sentire, da scegliere: anche se veniva da altri, poi dovevi tu sentirla, quando si apriva un confronto tra destini.