Anche il cardinal Zuppi interviene sulla polemica che è esplosa attorno alla lettera che mons. Giacomo Morandi, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla ha inviato ai parroci chiedendo che le comunità cristiane non siano minimamente coinvolte nella politica, sia locale, sia nazionale. La lettera afferma anche che se un laico impegnato in parrocchia si candida per essere eletto deve lasciare il suo impegno ecclesiale.
La lettera di mons. Morandi e l’endorsement che ne ha fatto il cardinal Zuppi sono chiarissimi. Troppo, forse. La politica è l’ambito tipico del “fare”: si “fa” politica infatti. E si fa politica secondo le modalità che legge e prassi hanno stabilito: candidature, partiti, liste, elezioni. Quando un credente si impegna in politica deve fare i conti con questi modi concreti di fare politica.
Più uno è dentro in politica, più deve mettersi ai margini della Chiesa
Ma, se quel credente decide di fare politica, Zuppi e Morandi gli dicono che deve essere, per forza di cose, un po’ meno cristiano. Sei catechista? Fuori dal gruppo catechisti. Sei membro del Consiglio pastorale? Fuori dal Consiglio pastorale. E così via. Oltretutto, ci domandiamo quali sono i limiti di applicazione di questo principio. Se un catechista si iscrive a un partito, pur senza candidarsi a una elezione, deve comunque abbandonare il suo compito di catechista? Un candidato alle elezioni può partecipare a una assemblea parrocchiale? Può leggere le letture bibliche a una messa? Pare di no. E un iscritto a un partito? Mi sembra, cioè, che quel principio obbedisca a una logica: più uno è dentro in politica, più deve mettersi ai margini della Chiesa.
Con alcune conseguenze. La Chiesa parla molto di politica, ma se ne sta fuori. La politica, per la Chiesa, resta qualcosa che si deve fare quando si parla, si deve evitare quando si fa. La Chiesa, in quel caso, è sempre fuori gioco. Ci impressiona, in particolare, una raccomandazione che è stata ribadita dopo la lettera di mons. Morandi. In una risposta della curia diocesana di Reggio Emilia si legge: È possibile accogliere in chiesa o negli ambienti parrocchiali, nonché loro pertinenze, incontri o dibattiti in vista delle elezioni?
Risposta: No. Tale ambienti devono restare luoghi deputati al culto, alla catechesi e alla carità.
Quindi se un parroco chiama i rappresentati di tutte le liste presenti e chiede che si spieghino di fronte ai fedeli della sua parrocchia, è un parroco disobbediente (molti parroci di nostra conoscenza l’hanno fatto più di una volta. Dunque: ci sono in giro parecchi parroci disobbedienti e conniventi con i disobbedienti. Disastro).
Ma è proprio impossibile sognare una comunità cristiana nella quale un catechista che milita nel PD possa andare d’accordo con un catechista che milita in FdI?
Alla fine, ingenuamente, ci domandiamo. Ma è proprio impossibile sognare una comunità cristiana sufficientemente matura nella quale un catechista che milita nel PD possa andare d’accordo con un catechista che milita in FdI in nome della loro comune appartenenza ecclesiale? Anche nel caso che partecipino a una contesa elettorale? Ed è così difficile che si impegnino alla coerenza nella loro fede e nei suoi valori, pur nelle diverse modalità di “tradurre” fede e valori nella politica?
La conclusione mi pare inevitabile. Se diciamo che è impossibile vuol dire che davvero la fede è buona se, a parte qualche bel discorso, non fa nulla di veramente politico. Ma una fede siffatta è ancora buona?