“Non è tempo per noi e forse non lo sarà mai.” Quando Ligabue cantava queste parole pensava agli anni della contestazione e, immedesimandosi nei nostalgici di fine anni 80, si rassegnava al passaggio dal politico all’individuale. Una generazione, quella del Liga, che ha provato a cambiare il mondo e che oggi si ritrova nostalgica dell’idea di futuro che si possedeva nel passato. Quel sentimento che Mark Fisher chiama hauntology e che giornalisti come Michele Serra utilizzano in modo sapiente e tagliente per criticare le condizioni della sinistra di oggi.
I “semi sotto la neve” sono ormai, dice Serra, “legati solo alla vita privata, alla terra, agli amici, alla famiglia”
Una critica che ci fa sorridere, ma anche riflettere, e infine pure consolare, perché in fondo esiste ancora un barlume di identità politica da difendere e attorno alla quale è sempre bello scrivere, discutere, persino litigare. Tuttavia, mentre si commenta sui social e si accusa la sinistra di non saper più parlare al paese, le speranze vengono meno. E per tale ragione i “semi sotto la neve” sono ormai, come dice Serra alla fine del recente incontro di Molte Fedi, “legati solo alla vita privata, alla terra, agli amici, alla famiglia”. Un ritorno all’orto individuale, da dove è più facile commentare, educare decentemente i figli non più Sdraiati e restare in attesa di un fattore esogeno che salvi tutti.
Ma è così necessario rifiutare la lotta collettiva perché la tua generazione l’ha ormai persa? E se non si accettasse l’atrofizzazione dell’agire politico di fronte alle ingiustizie? Se invece di ritirarsi a vita privata si insegnasse a tutti i giovani, non solo ai propri figli, come indignarsi, mobilitarsi e stare dentro i conflitti?
La crisi globale del clima, la multipolarità in geopolitica, le piattaforme di intelligenza artificiale, l’automazione delle fabbriche, le crescenti forme di disuguaglianza sociale ed economica hanno rimesso in moto la ruota della Storia, che aspetta solo una nuova politica. Una politica postmoderna che depotenzi l’idea liberale del merito e l’esaltazione delle competenze, come dice Papa Francesco, e che assuma le sfide del futuro anche dentro l’aspra e banalizzante dialettica dell’infocrazia contemporanea.
Le grandi emergenze hanno rimesso in moto la ruota della Storia, che aspetta solo una nuova politica
Ecco allora che se per noi giovani il superamento ideale del capitalismo rimane sullo sfondo, quasi impossibile da concepire attraverso le categorie mentali di chi è cresciuto nella cultura pop occidentale, diventa ancora più fondamentale il ruolo educativo di quelle generazioni che un altro mondo lo hanno veramente immaginato e anche parzialmente realizzato. Per dare stabilità ai movimenti giovanili di oggi o per fomentare il conflitto sociale laddove manca (nella scuola ad esempio), sembra quindi necessaria una pedagogia politica intergenerazionale, che possa bidirezionalmente fornire strumenti di lettura del presente, elementi di tipo organizzativo e prepararsi ai cambiamenti epocali del prossimo futuro.
Solo dentro questi mondi in fermento, dove trovano spazio una sana dialettica politica, analisi collettive serie e azioni di contrasto ai problemi emergenti della realtà, potrebbe emergere una nuova consapevolezza politica rivoluzionaria, un’epifania condivisa che trae forza dalla grande quantità di persone coinvolte nelle trasformazioni potenzialmente violente del prossimo futuro.
L’ alternativa a questa rivelazione collettiva è la negazione dei problemi, la difesa dei potenti, che porta inevitabilmente al tentativo di salvare sé stessi per abbracciare la finzione del benessere e della pace sociale. Papa Francesco è uno dei pochi leader internazionali che, con Economy of Francesco o la recente Laudate Deum, ha capito l’importanza del fattore tempo per cambiare la rotta della Storia e sta provando ad unire reti di changemakers per evitare che tanti popoli paghino un prezzo enorme da qui ai prossimi decenni.
Forse un giorno anche noi Millenial e GenZ accetteremo il refrain di alcuni sessantenni che a bordo campo, si chiedono, come canta Ligabue alla fine della sua canzone: “È tutto qui? e la risposta è sempre sì!”
Come fare dunque ad uscire dalle contraddizioni del sistema di mercato in tempo per evitare il collasso? Forse condividendo con altri la propria dimensione spirituale inscalfibile dal capitalismo, forse contrastando culturalmente a tutti i livelli una certa visione del mondo promossa dai potenti di turno, forse federando esperienze e movimenti progressivi, forse usando in un modo nuovo la comunicazione sociale ed umana. Le guide di questi processi trasformativi potrebbero essere quelle figure che oggi e nel passato pensano o hanno pensato concretamente di poter cambiare il mondo. Sicuramente si procederà per tentativi, ma se non si vuole che l’ennesima generazione venga sconfitta dai suoi peggiori incubi, serve che ognuno faccia la sua parte e rifiuti il seducente richiamo degli sdraiati di ogni età.
Non escludo che forse un giorno anche noi Millenial e GenZ accetteremo il refrain di alcuni sessantenni (e forse altrettanti ventenni) che ormai rassegnati a bordo campo, si chiedono, come canta Ligabue alla fine della sua canzone: “È tutto qui? e la risposta è sempre sì!”. Ma così facendo saremo responsabili di aver condannato parte dell’umanità alla passività di fronte alle trasformazioni della storia, che di certo non ci concederà facilmente nel prossimo futuro una terra da coltivare in santa pace, dove scrivere, controllare i semi sotto la neve e riposare bucolicamente con amici e famiglia, sdraiati di “ultima generazione”.