Osserviamo la Sacra famiglia con angeli di Rembrandt, dipinto su tela del 1645, (cm 117 x 91, San Pietroburgo, Hermitage).
Un tema assai familiare all’artista che lo ha affrontato molte volte, sempre rinnovandolo.
È una scena di concentrata intimità, che mostra l’interno modesto di una casa molto semplice, dove si vive e si lavora insieme.
Potrebbe essere l’interno di una dimora olandese del 1600, poiché la giovane mamma è vestita come le donne del tempo. C’è però la presenza degli angeli, il cui volo non disturba nessuno: sono di casa anch’essi.
Giuseppe, nella penombra, sta modellando un giogo con l’ascia. Appesi alla parete ci sono i suoi strumenti di lavoro, illuminati dal fuoco del camino, sulla destra, quasi completamente fuori scena.
In primo piano la culla del bambino, meraviglioso cestello splendido di luce, e poi la madre, che sorveglia con tenera apprensione il sonno del piccolo.
Con un braccio e la mano la giovane regge sulle ginocchia il libro delle Scritture, si è distolta un momento dalla lettura per controllare il figlio: l’altra mano scosta infatti il panno che copre la cesta e permette anche a noi la vista della testolina nell’ombra, tra i cuscini.
Il piccolo ora riposa come solo i bambini sanno dormire, scendendo fin nelle profondità della terra. Sicuramente Rembrandt ha preso a modello il figlioletto Tito e noi immaginiamo la trepidazione dell’artista, che aveva già perso prematuramente tre piccoli, mentre dipinge nel suo cestello questo piccolo Mosè salvato dalle acque.
La mamma ha invece, quasi certamente, il volto di Hendrickje, la ragazza accolta in casa come aiuto dopo la morte di Saskia, l’amata moglie del pittore e madre di Tito (Rembrandt ha già una lunga confidenza col dolore).
Guardando quel grande libro tenuto dalla donna, anch’esso crepitante della luce sapiente trasmessa dall’artista, commuove pensare che la giovane governante sapeva a malapena leggere e ancor meno scrivere.
Lo sguardo dolce della mamma sembra stupito di riconoscere nel bambino il compimento della promessa e dell’annuncio appena trovati nella Scrittura. La sua fiducia obbediente alla parola ha permesso che essa diventasse vita.
Il dipinto, costruito su due diagonali che collegano i vertici del quadro, è ricco di altri simboli e rimandi.
Il giogo cui lavora Giuseppe ricorda la sottomissione alla legge (il figlio, nato da donna, nato sotto la legge, spezzerà il giogo che opprime Israele, per riscattare coloro che sono sotto la legge, perché ricevano l’adozione a figli). La splendida copertina rossa allude alla porpora della passione.
In alto, sulla sinistra, una piccola cascata d’angeli entra in scena da uno squarcio di luce.
Uno di essi, che già compare in un rapidissimo schizzo ad inchiostro, sembra quasi preoccupato dal punto di atterraggio, ha le braccia aperte, come dolce protezione sul bambino, forse come anticipo e preannuncio della croce.
Un altro regge con la mano una ghirlanda di fiori e porta sul braccio un telo bianco
(la sepoltura e la resurrezione).
Di un altro ancora scorgiamo solo la nuca,
perché girato verso la fonte di luce e l’origine
(parlando dei piccoli Gesù dirà:
“i loro angeli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli”.
Anche così Rembrandt avrà forse voluto ricordare i suoi piccoli figli…).
Ma possiamo trascurare tutti questi significati nascosti nel quadro per ammirare semplicemente la calda intimità trasmessa dal dipinto, con la sua straordinaria esecuzione.
Rembrandt è signore di una luce che irradia dal buio e dal silenzio, e penetra la profondità della nostra esistenza, col mistero pieno di inquietudine e di promesse che la avvolge.
Ci commuovono gli ospiti santi di questo piccolo angolo di casa, li sentiamo vicini e veri nella loro dolce, divina umanità.
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[…] Riusciremo a dargli concretezza oppure sarà soltanto una parola come tante altre? La pace, prima dono del Signore Risorto, è davvero un imperativo per i cristiani che affolleranno le liturgie di Natale? […]