La  Trinità. Vista “diversamente”

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Michela Murgia, femminista, donna di fede e cattolica, pubblica alla fine del 2022 un audace e originale pamphlet dal titolo “God save the queer – catechismo femminista” – (Einaudi). Molti spunti per vedere in modo originale il mistero centrale della fede cristiana

QUEER ovvero in estrema sintesi: socialmente eccentrico rispetto alle definizioni di normalità codificate dalla cultura egemone. E’ concetto inclusivo, evoluzione della critica femminista alla dimensione patriarcale del potere. Intende valorizzare le differenze e porre in discussione l’universalità delle categorie identitarie, non come fatti di natura, ma risultati storici e culturali di un determinato ordine sociale e simbolico. Negli anni novanta del ‘900 è venuto affermandosi il concetto di genderqueer (genere –  strano) ad indicare tutti coloro che non si riconoscono in un unico genere definito per superare il concetto d’identità di genere binaria (maschio / femmina).

“Altri modi possibili di essere immagine di Dio”

Michela Murgia vuole capire da femminista se la fede cristiana possa risultare in contraddizione con il desiderio di un mondo inclusivo, non patriarcale. Vuole dimostrare come i valori della cultura queer possano rappresentare un rinforzo, un alleato alla fede in Cristo perché “…la Rivelazione non sarà compiuta fino a quando ad ogni singola persona non venga offerta la possibilità di sentire lo sguardo generativo di Dio mentre dichiara che quello che vede è cosa buona”.

Un’altra Trinità è possibile

Nel suo articolato “catechismo”, globalmente finalizzato a dimostrare come l’idea di Dio al maschile sia concettualmente sbagliata, risulta interessante la trattazione del tema Trinitario svolto con supporto di immagini.

Affronta il tema analizzando l’immagine della Trinità come riportata nel suo libretto di Catechismo al tempo della Prima Comunione; è l’immagine consolidata nella tradizione   popolare, diffusa anche nell’arte devozionale.

La Murgia la descrive come “…una piramide che evoca gerarchia …un vecchio barbuto e severo interpreta la parte del Padre; un triste giovane caucasico [cioè di carnagione bianca] incarna il Figlio e una colomba raggiante in volo deve suggerire l’identità etera dello Spirito Santo.”  

Questa iconografia, anche nelle sue versioni più raffinate, “…non può più essere accolta senza obiezioni dalla sensibilità contemporanea imponendo il maschile bianco al Dio dei Cieli (con il conseguente statuto di divinità ai maschi in Terra).”

A parere di Michela Murgia la verità del mistero trinitario riassunta in immagini di questo tipo è rappresentazione blasfema “…piatta, abbrutente e intrinsecamente violenta.”

“Dio che non ha né corpo né forma” 
(San Giovanni Damasceno)

Per una catechesi del mistero trinitario nelle contemporanee sensibilità, Michela Murgia propone l’icona dell’ospitalità di Abramo al querceto di Mamre dipinta da Andrej Rublev.

ANDREJ RUBLEV è il sommo iconografo che la Chiesa Russa ha proclamato Santo. Dipinge l’icona della Trinità tra il 1422 e il ’27. Partendo dal presupposto che “per sua essenza la divinità non può essere rappresentata”, per dare immagine al mistero trinitario si ispira al racconto dell’ “Ospitalità di Abramo”  (Genesi, 18) dove il Capostipite del popolo eletto accoglie tre pellegrini che gli annunciano la nascita del figlio Isacco. Dal IX secolo nei testi orientali l’episodio è ritento l’apparizione ad Abramo della Trinità e l’annuncio di una nuova alleanza. Il Concilio dei cento Capitoli di Mosca del 1551 dichiarò l’icona di Rublev “canonica” rappresentazione della Santissima Trinità.

Michela Murgia interpreta l’icona attingendo ai canoni dell’esegesi orientale, rielaborandoli in prospettiva anti patriarcale.

Ci sono tre individui alati che si somigliano tanto da sembrare omozigoti. Difficile attribuire loro un sesso: hanno tratti delicati, assenza di barba, capigliature intrecciate. Si differenziano per i colori delle vesti. Le tre figure sono inscrivibili in un cerchio, dal piede e dalla mano destra della figura di sinistra, il Padre, si avvia una curva che raggiunge la persona di sinistra, lo Spirito; ne segue la schiena e la testa inclinata per congiungersi, al centro, alla testa del Figlio; sfiora la montagna e l’albero per chiudersi sul palazzo alle spalle del Padre in un rilancio di energia.

Non la forma a piramide connette le Tre Persona, ma il cerchio; non gerarchia, ma dinamismo interno in comunione paritaria.

La figurazione è piatta, non simula una terza dimensione, ma si apre alla quarta, quella della relazione con chi guarda: “Al tavolo di quel pranzo c’è posto per una sedia in più, ed è la mia. La Trinità mi fa spazio.

Nel nome dello Spirito che dà la vita

A destra è evocata la figura dello Spirito Santo; il verde delle sue vesti è il colore della natura rigogliosa e della vita; la sua postura è concava, accogliente e morbida. Michela Murgia vi riconosce i canoni della femminilità e, oltre il tempo e la cultura, vede una comune ispirazione tra la figura angelica di Rublev e la Madonna annunciata dipinta da Beato Angelico.

Alla terza persona della Trinità Rublev dà le sembianze di una donna, evoca l’immagine di Maria e il suo rapporto previlegiato con lo Spirito che la feconda; è come a voler includere nella rappresentazione trinitaria il mistero dell’Incarnazione.

Dalle forme astratte dell’icona emergono segni di inclusione, accoglienza, relazione, banchetto, corpo che genera vita; Spirito come brezza che soffia dove vuole, porta deflagrazione nella storia umana e scuote “l’ordine costituito.”

L’analisi dell’icona è solo l’inizio della presentazione di quello che Michela Murgia ha chiamato “incontro con l’apoteosi relazionale che è la fede trinitaria”.

Il suo “catechismo” è per essere “…pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi…” (dalla prima lettera di Pietro – 3,15)

Posta scriptum

La declinazione di Dio al femminile ha un impegnativo precedente.

Papa Luciani, Giovanni Paolo I, all’Angelus di domenica 10 settembre 1978 disse “…noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile… ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E’ papà, più ancora è madre…”.

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