
Entrando all’ospedale Papa Giovanni dall’ingresso a est, sul percorso di collegamento con la fermata degli autobus, si incontra un grande blocco prismatico di marmo bianco di Zandobbio: è un’opera dell’artista bergamasco Francesco Pedrini (classe 1972) che si intitola “Fukinagashi”.
Il pesante blocco di marmo di Zandobbio – la pietra dei monumenti bergamaschi – non è ben squadrato e per reggersi ha bisogno di un mucchio di ghiaia che lo regge in verticale: la fragile “pietra scartata” sostiene la massa.
Il blocco é percorso dalle venature della sua storia geologica e da una grossa frattura da dove spunta una piccola pianta contorta: è un “bonsai”.
Nella cultura Zen rappresenta la cura per l’evoluzione della vita, il corso del destino.
Nella lingua giapponese “bonsai” significa “piantare in un piccolo vaso” una pianta, curarla, potarla con attenzione e competenza; controllarne la crescita per mantenerla piccola – domestica – come per educarla ad una forma in un continuo “dialogo” tra persona e albero.
Richiede a chi coltiva la pazienza e il rispetto dei tempi della natura, la consapevolezza di coltivare soprattutto la virtù dell’attesa di una piccola forma che possa evocare il segreto della vita e, nel minimo, riassuma l’immensità dell’universo.
Un bonsai viene chiamato “fukinagashi” quando la sua forma, come per gli arbusti aggrappati a dirupi e precipizi, sembra essere plasmata dai venti, immagine di natura che resiste alle tempeste della vita.
L’opera di Pedrini accoglie chi entra nell’ospedale dedicato a Papa Giovanni con tanti segni. L’ospedale è un luogo di dolore, incertezza, sollecitudine, cura, ricerca – soprattutto luogo del “…potare…controllare…coltivare la pazienza e il rispetto dei tempi della natura…attendere per generare…” – di lotta contro il monolite dell’angoscia.
Il grande blocco di marmo è il “monolite” dell’angoscia.
Per portare la sua frattura verso la luce, un collettivo sforzo corale lo ha innalzato su una base di piccoli sassi e di sabbia, immagine di passate tribolazioni triturate dal tempo.
La frattura è diventata “vaso”.
Il vaso nel “monolite” non accoglie un seme qualsiasi ma una creatura cresciuta con antiche cure in un progetto di nuova e diversa bellezza; una creatura che attende altre nuove sollecitudini per non soccombere alla durezza dei tempi: accoglie all’accesso del luogo della fragilità e testimonia la civiltà della cura.
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Varinelli