Due settimane fa, verso le 20:30, mi chiamano per una benedizione urgente nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Seriate. È vicino al centro pastorale dove abito, dieci minuti a piedi; vado comunque in macchina, pensando a un morente. In cinque minuti sono davanti al reparto di rianimazione. Suono il campanello. Mi accoglie un’infermiera gentile, che mi saluta cordialmente. Mi consegna il camice e la protezione necessari per entrare nel reparto dove va evitata ogni possibile contaminazione e, prima di farmi entrare, mi dice: “Don, trova una situazione delicata. Dovrà trovare le giuste parole”.
Mi spiega: “Sta per benedire un uomo che si è impiccato due giorni fa in casa sua. La famiglia ha chiesto la benedizione e sono tutti qui, moglie e i due figli. Abbiamo terminato le analisi necessarie per la donazione degli organi: questa notte lo portiamo in sala operatoria per la donazione e poi stacchiamo i macchinari delle funzioni vitali”. Ringrazio l’infermiera e dopo qualche minuto le faccio cenno che desidero entrare.
La scena che mi si presenta dinanzi agli occhi è straziante. L’uomo sembra dormire, respira attaccato alle macchine, ma l’elettroencefalogramma è piatto: purtroppo è stato trovato quando da troppo tempo era appeso alla corda ed è arrivato in ospedale già in stato di morte celebrale. La famiglia è distrutta dal dolore.
Mi avvicino, saluto i parenti che mi ringraziano più volte. Recitiamo insieme diverse preghiere. Non servono discorsi, serve essere lì, accanto a quest’uomo. Leggo il testo che solitamente si utilizza per l’unzione dei malati e utilizzo anche l’olio per l’unzione: i famigliari rispondono, con la voce rotta dal pianto, alle invocazioni.
Chiedo ai famigliari di pregare insieme ancora un po’. La figlia, con un filo di voce, mi racconta che il papà non ha mai dato segni di difficoltà: ha giocato con la nipotina, sua figlia, come nulla fosse e come sempre fino al giorno prima. Il giorno stesso del dramma, aggiunge il figlio, il padre, sereno e contento come sempre, aveva chiesto al figlio come intendeva procedere con il lavoro, che svolgevano insieme e che stava andando decisamente bene.
La figlia mi dice che non riesce a togliere dalla mente ciò che ha visto: ha trovato lei il papà impiccato.
La moglie mi fissa, mi ringrazia e si sdraia accanto al volto del marito, accarezzandolo e piangendo. Devo fermarmi: vedere quella donna, semplice e di fede, accarezzare quell’uomo che ha amato e che, inspiegabilmente, è giunto a quel gesto, chiedendogli di continuare a proteggere la famiglia e la nipotina, mi commuove profondamente.
Il figlio si rivolge all’infermiera e a me chiedendo di vedere l’ultimo respiro del padre. Con umanità straordinaria l’infermiera gli spiega che non è possibile: il suo papà deve entrare con i macchinari che lo tengono in vita in sala operatoria e solo a intervento ultimato le macchine verranno staccate.
Chiedo alla famiglia se desidera pregare con me ancora un po’: accettano volentieri. Quando terminiamo, dico ai famigliari: “Ora io traccerò il segno della croce sulla fronte di papà. Se volete, voi farete lo stesso gesto dopo di me. Come al Battesimo Dio l’ha accolto tra i suoi figli, ora chiediamo a Dio di accoglierlo nella sua casa. Dio conosce la sua vita. le sue gioie e i suoi dolori. Dio sa quanto vi ha amato e anche il vostro papà lo sa. Lasciamo a Dio il mistero di ciò che è accaduto. Ora preghiamo per papà: non muore solo. Noi siamo con lui. E, state certi, lui sarà con voi sempre”. Traccio il segno di croce e con me tutti i presenti ripetono il gesto sulla fronte calda di quell’uomo. La moglie torna ad abbracciarlo e baciarlo: i figli fanno lo stesso.
È ora di uscire: presto i chirurghi verranno a prenderlo per la donazione organi. I figli si girano verso papà per un ultimo sguardo: “Ciao papà, grazie di tutto”. Usciamo insieme e rimaniamo ancora una mezz’oretta a parlare. Più volte i famigliari mi ripetono: “Le assicuriamo don che non ha mai dato alcun segno… se solo avesse dato un segno di malessere…”. Cerco di consolarli, dicendo che capita tante volte che chi giunge a questo gesto non dia a vedere il suo dolore. Ci salutiamo cordialmente e io mi avvio verso casa.
Quella sera, chiuso il centro pastorale, ho ripensato alla vicenda. Ho benedetto un uomo. Ho parlato di Dio e del suo amore, ho pregato con la preghiera della Chiesa. Ho cercato di consolare il dolore di chi resta e soffre non solo per la morte, ma perché non ha spiegazioni di quella fine cercata.
Prego ancora: Dio sa e certamente accoglie nel suo abbraccio. Penso a quella famiglia e prego per lei: dovrà avere tanta forza. Ringrazio il Signore: mi ha fatto sentire la forza della sua Parola, l’unica che, all’origine di tutto, può risuonare dando senso anche alla fine di tutti.