“Il buco” di Frammartino. Immagini, suoni

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“Il buco” di Frammartino. Immagini, suoni

“Il buco” di Frammartino immagini suoni. Premio speciale della giuria al festival di Venezia 2021.

 

Il buco” è uscito qualche settimana fa nelle sale cinematografiche italiane. Si tratta di una co-produzione Italia-Francia-Germania, e il regista, Frammartino, è noto per uno dei suoi precedenti lavori, Le quattro volte (2010). Il film è il trionfo delle immagini e dei suoni. Narra di una spedizione speleologica condotta nel 1961 da un gruppo di studiosi in Calabria, nel parco nazionale del Pollino, dove scoprono quella che all’epoca risulta essere la terza grotta più profonda del mondo (si spingono oltre i 600 metri di profondità).

“È letteralmente il buco della grotta che parla, attraverso i suoni che produce”

Immagini e suoni

Frammartino ci dona la visione di un film che ha un tempo piano e saldo, la narrazione è affidata quasi esclusivamente alle immagini e ai suoni, i dialoghi sono pochissimi, quasi irrilevanti.

È letteralmente il buco della grotta che parla, attraverso i suoni che produce quando i ricercatori gettano delle pietre per sondarne la profondità. Quando riverbera l’eco del fischietto che usano per comunicare il bisogno di altre corde verso l’alto, in superficie, e continuare il loro viaggio d’esplorazione all’interno della caverna. Quando per la prima volta calpestano rocce umide e pozze mai raggiunte dall’uomo.

Il buco parla ma soprattutto il buco guarda: le inquadrature più toccanti del film provengono proprio dall’interno, delle specie di soggettive del buco a partire da quella iniziale. La grotta guarda il cielo da dentro verso fuori. Osserva dal basso verso l’alto i minuziosi movimenti degli speleologi, la carta di giornale bruciata che viene gettata per illuminare le sue forme (grandiosa fotografia).

Il “buco” e il villaggio

Il lavoro dei ricercatori e il loro “dialogo” con il buco sono abbinati in montaggio parallelo con quelle degli abitanti del paesino dove è situata la grotta.

Anche nel delineare la vita del paese, Frammartino lascia poco spazio alla parola. Risulta sufficiente una descrizione di pochi tratti, universali E’ la preghiera collettiva in chiesa, la sacrestia con una statua del Cristo deposto accanto alla quale si stendono, la notte del loro arrivo, gli esploratori provenienti dal Nord, i bambini che giocano con le torce dei loro elmetti, il bar del paese, con la tv all’aperto, e tutti seduti a guardarla.

Vedono un filmato, girato proprio nel Nord del boom economico, dove il presentatore televisivo sale un grattacielo e lo descrive agli spettatori, grazie a un carrello elevatore sospeso all’esterno dell’edificio. Lui sale, e mostra le meraviglie del progresso. Gli speleologi scendono, laddove nessuno è mai stato. Frammartino narra un avvenimento realmente accaduto, e lo fa osservando il comportamento dell’uomo e quello della natura.

Il tempo lento e ancestrale

“Lo sguardo della macchina da presa indugia a lungo sul paesaggio montano nei pressi della grotta”

Coloro che sono sempre, e probabilmente da sempre, più prossimi al buco sono le mucche e i pastori.

Lo sguardo della macchina da presa indugia a lungo sul paesaggio montano nei pressi della grotta, e dedica tempo, il tempo lento e ancestrale di un rapporto con la natura che pare eterno e immutabile, ai pastori che la abitano.

Soprattutto si vede uno, che siede sempre vicino allo stesso albero, rugoso quanto la sua fronte, e che ogni tanto emette dei suoni per richiamare gli animali, suoni che sembrano provenire dalla grotta. È in comunione con la grotta, e osserva da lontano il lavoro degli speleologi, così come la grotta li osserva da dentro.

Una sera gli altri pastori si mettono a cercarlo, e lo trovano disteso, mezzo morto, in mezzo al bosco. Da lì in poi l’agonia del vecchio pastore segue passo passo il proseguo delle ricerche del gruppo di studiosi e la mappatura sempre più precisa del buco.
Alla fine la spedizione si conclude: così mentre
viene scoperto un mondo, ne sparisce un altro, in silenzio.

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