Neppure i laici hanno scelto di diventare monaci

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Lo smarrimento dei preti diventa smarrimento delle comunità e dei laici. E viceversa

“Sento il bisogno di spazi di confronto e di condivisione e di scelte concrete che scaturiscano dal nostro esserci parlati, chiariti, a volte scontrati in vista di un bene maggiore!”
“Non abbiamo scelto di diventare monaci.”
“Serve cambiare l’idea di comunità cristiana e di chiesa.”
“Serve uno sguardo di realismo per non desiderare una vita che sta solo nel mondo dei sogni.”
“Bisogna creare legami e relazioni”.

Nella lettura delle riflessioni fornite dai presbiteri mi colpiscono molto alcune frasi, sopra riportate, perché sono le medesime che circolano tra i medesimi laici che frequentano la chiesa. 

I problemi dei preti diventano anche problemi dei laici

Sono osservazioni e richieste che vanno ben oltre il bisogno di avere qualcuno con cui confrontarsi quotidianamente (perchè già avviene in famiglia) e relazionarsi seriamente (come avviene già in gruppi/associazioni). E’ la richiesta di chi ama la chiesa, ma ne percepisce una continua e lenta distanza da parte (di un numero sempre maggiore) dei presbiteri che la rappresentano nella comunità. Le difficoltà espresse dai presbiteri riescono a loro volta a rendere più faticoso ogni cammino ed espressione del senso e della dimensione spirituale dei (pochi) laici che si interrogano e continuano a camminare e ricercare la Verità.

Ho avuto modo, anche recentemente al Consiglio Pastorale Diocesano, di ascoltare da molti presbiteri che l’educazione e l’espressione della preghiera si esprime essenzialmente nel momento dell’adorazione eucaristica. Senza togliere alcun valore a tale espressione, ritengo che questa possa essere una delle manifestazioni della preghiera, a fronte di un bisogno del laico di trovare soprattutto riscontri, sostegni, accoglienza di sè nella Parola per quanto vive quotidianamente. 

“Non abbiamo scelto di diventare monaci” neppure noi laici! 

In attesa di legami e relazioni reciproche e autentiche

Abbiamo bisogno anche noi di creare legami e relazioni vere con i presbiteri, perché è solo nella condivisione di momenti, esperienze e tempi della quotidianità che è possibile arricchirci reciprocamente, esprimere in concreto il senso spirituale che ci pervade ed attraversa, nella costruzione dell’umano, prima ancora di una comunità generalizzata e uniformata.

Credo che un’apertura, determinata dalla condivisa ricerca di incontri fraterni, possa aiutare tutti a comprendere come anche oggi il Vangelo sia significativo e comprendere, al tempo stesso, il ruolo dei presbiteri dentro attese (altrui), comprensioni (di sé) e scelte da condividere.

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3 Comments

  1. Giuseppina ha detto:

    Un aspetto al quale non avevo pensato. Fa riflettere. Grazie

  2. Bruno Felice DUINA ha detto:

    Carissimi,
    ho seguito con interesse i numerosi interventi sulla solitudine dei sacerdoti: molto interessanti le analisi e le osservazioni esposte. Vorrei qui proporre uno spunto di riflessione per provare a comprendere il tema anche da un ulteriore punto di vista.
    La solitudine, secondo molti studi sociologici, è una delle cifre caratteristiche dell’uomo contemporaneo. Non è solo un problema dei sacerdoti – i quali avendo scelto una vita segnata dalla castità e dalla rinuncia a formarsi una famiglia, si trovano sicuramente più esposti all’isolamento – ma della nostra società.
    L’uomo moderno, assillato da ritmi frenetici, da un crescente sradicamento del territorio, da rapporti umani sempre più fluidi e deboli, spinto dalla società dei consumi ad “avere” anziché ad “essere”, chiuso nel suo sterile narcisismo, si trova in una crescente condizione segnata da relazioni povere, aride, effimere, spesso superficiali (ricordo una storiella dove una ragazzina chiede al nonno: “Ma se non avevate Facebook, come facevate a sapere chi erano i vostri amici?”). Purtroppo, questa solitudine ed incomunicabilità può trovare spazio anche nella famiglia dove il dialogo non sempre è all’altezza delle necessità (con arguta ironia, già Anton Cechov ammoniva: “se temete la solitudini, non sposatevi!”)
    I dati pubblicati dal Comune di Milano (città dove vivo) non hanno bisogno di commenti: con una popolazione di quasi 1.400.000 abitanti ci sono circa 760.000 nuclei familiari! Più di un terzo delle famiglie residenti è costituito da una sola persona: vedovi, separati o divorziati, immigrati, emarginati, persone che non hanno rapporti stabili (nonostante la nuova legislazione sulle unioni civili e le convivenze). Mai come ora, l’uomo si trova abitualmente in mezzo alla folla, ma sempre più tra gente anonima, sconosciuta, senza volto, senza storia.
    Il sacerdote, in questo contesto, paga certamente un prezzo più alto, ma dobbiamo a mio avviso essere anche consapevoli che, seppure in diverse dimensioni, è un problema che riguarda moltissime persone e che segna il modo stesso di essere della nostra società.
    Io credo che oggi la Chiesa, ed in particolare grazie proprio i sacerdoti (ma anche tutti noi), possa offrire molto con il suo messaggio, con la sua azione, con la sua presenza attiva e capillare ad indicare e favorire un modello di vita più autentico, solidale, responsabile.
    Un cordiale saluto
    Bruno Felice Duina

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