Chiese in vendita?

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Le molte chiese per le poche parrocchie.
Un tesoro ricchissimo.
Ma difficile da conservare e da valorizzare

389 parrocchie e 1528 chiese

“La Diocesi di Bergamo, con una popolazione di oltre novecentomila abitanti, con 389 parrocchie e almeno 1.528 chiese, confina a nord con al Diocesi di Como, a nord ed a est con la Diocesi di Brescia, a sud con le Diocesi di Cremona e Crema e a sud e a ovest con l’Arcidiocesi di Milano”.

Una media di quasi quattro chiese per ogni parrocchia

Così il sito ufficiale della diocesi. Impressiono i numeri citati: 389 parrocchie sono proprietarie di 1528 chiese: “almeno”, nel senso che variando i criteri con cui un edificio religioso viene definito “chiesa” potrebbe variare anche il numero e potrebbe anche variare in più. Se dividiamo il numero delle chiese per il numero delle parrocchie otteniamo la cifra di 3,92. Cioè ogni parrocchia ha in gestione circa quattro chiese. Da precisare che più o meno la metà delle parrocchie della diocesi di Bergamo ha meno di mille abitanti. 

Quello che avviene in Francia

Mi vengono in mente questi dati quando leggo sul quotidiano cattolico francese “La Croix” del 17 maggio un dibattito molto vivace, in atto da tempo tra i nostri cugini di oltralpe, circa il problema della “vendita” delle chiese, troppo numerose e troppo sovradimensionate rispetto alle esigenze delle parrocchie, sempre meno frequentate nella laica e secolarizzata Francia. Il più recente dibattito ha avuto luogo nella diocesi di Nacy et Toul, al nord, confine con Belgio e Lussemburgo. Nella parrocchia di Chaligny gli abitanti si sono mobilitati per “difendere” la cappella di ‘Notre-Dame du Fer’, messa in vendita dal vescovo, il 22 aprile scorso. La cappella ricorda i minatori del luogo ed è praticamente dismessa.

Nella laica Francia si difendono le chiese anche quando non sono bellissime

Dalle foto, parere personale, mi pare piuttosto bruttina. Ma, nonostante tutto, sulla facciata sono stati collocati degli striscioni vistosi: “No alla vendita della nostra cappella”, “il sudore dei volontari non è negoziabile” (la cappella è stata costruita dai minatori, nei tempi liberi del loro lavoro), “operai conserviamo il nostro patrimonio”. 

Il caso è significativo. In Francia le chiese sono in maggioranza proprietà della Stato o del Comune. Infatti, “nel 1905, con la legge di separazione fra Chiese e Stato, le chiese e tutto ciò che contengono, gli edifici (scuole, case canoniche, terreni), proprietà mobili e immobili, divennero proprietà dei comuni, a eccezione delle cattedrali, che divennero proprietà dello Stato. Tutti i mobili e gli immobili acquisiti dalle associazioni diocesane e dalle parrocchie dopo il 1905 sono loro intera proprietà e dunque sono completamente mantenuti dalle parrocchie o dalle diocesi”. Evidentemente la cappella in vendita è stata costruita dopo il 1905, è proprietà della diocesi e la diocesi ha deciso di vendere. 

Il futuro difficile da immaginare

Sulla base di quanto si legge e si sente mi domando quando e come si porrà il problema nella diocesi di Bergamo. Da noi tutte le chiese sono proprietà delle parrocchie. La domanda è brutalmente semplice: come e fino a quando sarà possibile mantenere e manutentare quattro chiese in una parrocchia di mille abitanti (per non dire delle parrocchie più numerose con chiese presumibilmente più grandi e più “costose”)? E’ possibile ipotizzare la vendita o la cessione di alcuni di questi “edifici” religiosi? In un paese a 30, 40 chilometri da Bergamo a che cosa e a chi potranno servire due, tre chiese sconsacrate? 

Grosso problema, dai risvolti affettivi forti. Ma se ne parla poco

Bei problemi, come si vede. Con un’aggravante. I motivi che si oppongono alla vendita o alla cessionie delle chiese sono affettivi. Ma la mancata vendita di chiese per motivi affettivi pone spesso – e porrà sempre più in futuro – pesanti problemi economici. In sintesi: le parrocchie dovranno mantenere – per motivi affettivi – delle strutture che non riescono più a mantenere per motivi economici.

Conclusione: ne vedremo delle belle. 

P.S. Domanda dopo la conclusione. Ma, come mai, allora, viste tutte queste difficoltà se ne parla così poco? Facciamo finta che il problema non esiste? 

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Roncelli

1 Comment

  1. Bruno Felice Duina ha detto:

    Caro don Alberto,
    il tema da te proposto è certamente molto attuale e serio.
    Mi pare che i punti fondamentali della questione siano stati ben affrontati da diversi convegni e documenti ufficiali: vorrei richiamare, tra gli altri, le Linee Guida sulla dismissione e il riuso delle chiese del Pontificio Consiglio per la Cultura del 17 dicembre 2017
    http://www.cultura.va/content/dam/cultura/docs/pdf/beniculturali/guidelines_it.pdf

    Credo sia necessario che la Diocesi e le Comunità locali elaborino una strategia, un programma a lungo termine evitando di dover intervenire, caso per caso e in situazioni di emergenza quando gli edifici sono ormai in precarie condizioni.
    Solo con un progetto generale e lungimirante si potrà affrontare una trasformazione certamente ineludibile. Comunque mi pare che anche nella nostra diocesi non manchino interventi lodevoli, ad es. di trasformazione di chiese in spazi museali.
    Anche i Comuni, nell’ambito della programmazione e regolamentazione urbanistica del territorio dovrebbero farsi adeguatamente carico del problema tutelando un patrimonio di così grande rilievo. E’ un ambito dove una collaborazione, se convinta, fra i vari attori può dare buoni risultati.
    E’ certamente necessario acquisire maggiore consapevolezza e per questo mi pare opportuno che tu abbia richiamato il problema anche per il suo rilievo pastorale: i l tutto non può ridursi ad un problema di costi o di tutela storica.
    Un caro saluto
    Bruno

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