In questa scelta dai diari giovanili di Adriana Zarri, scritti tra il 1936 e il 1948, c’è la storia della conversione di un’anima, e insieme tutta l’intelligenza, la passione, la ricerca di una mistica immersione nel creato. Vi si sonda così la miniera indecifrabile dell’abisso umano fino a scoprirne il fondale luccicante, fino cioè a intravvederne Dio. Ecco perché, come dice il titolo di questo libro appena uscito in libreria, la voce dell’autrice “sa ancora di stelle”.
Teologa originale e profonda, Adriana Zarri era nata nel 1919 in un paesino del bolognese, da una famiglia modesta.
Dapprima dirigente dell’Azione Cattolica, poi giornalista e pubblicista, dalla professionalità difficile e inedita, in lei scrittura, pensiero e preghiera erano indissolubilmente uniti. Antitradizionalista, collaborò con molte testate cattoliche, e persino con il Manifesto. Apparve anche in TV, partecipando, come ospite fissa, alla trasmissione Samarcanda.
Dopo aver vissuto in diverse città italiane, fece una scelta eremitica, ritirandosi in vari eremi, rigogliosi di piante e fiori e animali, spazi di pace e respiro individuale per credenti e non, fino a quello di Strambino, nel Canavese, dove morì nel 2010.
Predilesse quindi un’esistenza da asceta, nel silenzio della campagna, lontano dal clamore della mondanità: un monachesimo autonomo dalle strutture ecclesiastiche. Franca ed esplicita nei suoi scritti, dove polemica e sguardo mistico si intrecciano, connessi con le lotte civili e sociali della seconda metà del ‘900, era invece, nel quotidiano, una persona mite, sospesa tra il reale e l’irreale, con un grande amore per gli animali (i gatti, specialmente) e per gli esseri umani, verso cui posava quasi sempre uno sguardo compassionevole, non privo però di improvvisi bagliori polemici.
Ma era certamente una donna del dialogo tra credenti e atei, convinta del dovere dell’ascolto di tutti, e comunque.
Portatrice di un pensiero e di pratiche innovative che cambiano il modo di vivere il cristianesimo, concilia una profonda ricerca religiosa con la partecipazione, con voce propria e distinta, alle stagioni riformatrici prima e dopo il Concilio. Partecipa anche, e attivamente, al dissenso cattolico, favorevole a divorzio e aborto in nome della laicità dello Stato, mentre auspica una Chiesa spogliata di ricchezze, poteri, onori, ricondotta alla povertà e semplicità evangelica.
La sua è un’originale teologia mistica e trinitaria, dove uomo, mondo e natura sono istituzioni ugualmente segnate dal dinamismo amoroso della Trinità divina, archetipo dell’eterno scambio di donazione – ricezione e del pluralismo animatore di tutto. Combatte perciò la visione monolitica di un Dio onnipotente e impassibile e critica un cristianesimo disincarnato e autoritario, mentre ricerca la santità nella vita ordinaria, quotidiana, non necessariamente ascetica, ma capace di accogliere la sfida del valore del corpo in quanto tale, sessualità inclusa.
Essere Chiesa dunque, ma in più esserlo come donna , in parità di diritti e doveri. E lei sarà proprio la prima donna laica che riesce a farsi ascoltare nella Chiesa italiana, restia in quegli anni a riconoscere dignità e valore alla voce di laici e donne.
La ricerca di Dio resterà sempre e comunque il cuore della sua vita.
Adriana Zarri è così, per tutta la sua lunga esistenza, semplicemente una che vive, perché “la vita comprende la preghiera e forse la preghiera comprende la vita ed è la vita stessa”.
Il bellissimo epitaffio che aveva scritto per la sua morte contiene infatti queste parole: ”E dirà che ho vissuto, che attendo”.
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