
Al suo nome infatti non sono legate opere particolari, né scritti importanti, né fondazioni di istituti.
Questo don Mario era un semplice pretino, smilzo, timido, di poche parole, un tipo comune, dai lineamenti forse anche un po’ “volgarucci” (come li definì un suo superiore), ma bastavano poche parole e ti accorgevi di trovarti davanti a un santo. Un santo della porta accanto – quelli che preferisco -, cioè coloro che vivono vicino a noi senza fare cose grandiose, ma che con il loro silenzio operoso sono un riflesso della presenza di Dio.
Era originario delle nostre parti: nato a Veduggio – in provincia di Monza e Brianza – nel 1900, quarto di sei figli, in una famiglia contadina molto religiosa. Al punto che, alla morte di una cognata, i suoi genitori accolsero in casa anche i 13 figli di lei!
A 8 anni, Mario sentì la vocazione, approvata dai suoi, preoccupati però per le spese necessarie agli studi. Tuttavia nei vari istituti e seminari che frequentò, il ragazzo si distinse talmente nel profitto, da meritarsi delle borse di studio, così da risolvere, almeno in parte, le questioni economiche. Si fece notare anche come persona semplice, popolare, “timida e regolare”, ma soprattutto per il suo genuino spirito di preghiera. Infine, nel 1924, fu ordinato sacerdote.
La sua prima destinazione fu a Brentana di Sulbiate, frazione dove visse e operò fino alla morte, per evitare avanzamenti di carriera.
Appena arrivato e in quanto prete novello, l’incarico preciso di don Mario era quello di occuparsi dell’oratorio: iniziò quindi a curare il catechismo e fondò una “Schola Cantorum”, che dirigeva lui stesso.
Promosse anche la “Messa dello scolaro” per far partecipare i ragazzi all’Eucarestia e li accompagnò in gite e pellegrinaggi. Ma si impegnava anche nella manutenzione pratica dell’oratorio stesso, improvvisandosi ora falegname, ora muratore, ora elettrotecnico …..
Sempre umile, amabile e disponibile, era incredibilmente vicino alla gente, in quel fazzoletto di mondo che gli fu proprio, fatto di piccole cose e di popolo minuto.
Una particolare sensibilità poi, che affinò nel corso del tempo, fu quella verso gli ammalati, specie i più poveri.
Lasciava spazio soprattutto alla carità, una carità nascosta, della quale non parlava mai con nessuno, una carità materiale, che ristora la fame, riveste il corpo, risana le ferite. Tanto che in paese divennero quasi leggendari i racconti dei suoi mille servizi: in una casa spaccò la legna, in un’altra si mise a rimestare la polenta, in un’altra ancora vegliò un infermo per permettere ai parenti di cenare … Il suo era davvero un “farsi tutto a tutti”.
Lo si trovava dappertutto: era in chiesa, era in ospedale a qualsiasi ora, , era in paese, ovunque ci fosse un bisogno materiale o una necessità da soccorrere. Dove non lo si trovava mai era a casa sua! Qui a volte tornava senza scarpe, dicendo alla sorella che le aveva date a chi ne aveva bisogno.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, don Mario non venne meno ai suoi impegni e al dialogo continuo con i giovani di Brentana al fronte, per i quali fondò “Voce amica”, bollettino con cui li teneva informati e aggiornati sulle notizie del paese.
In quel difficile momento le cascine dei dintorni raccoglievano spesso soldati sbandati, disertori, politici in fuga, renitenti alla leva, partigiani, fuggiaschi italiani e stranieri. Don Mario correva rischi in prima persona per aiutare tutti costoro, che erano tutti comunque “figli di Dio”, preferendo esporsi lui, piuttosto che far incorrere l’intero paese in qualche rappresaglia.
Così, parecchie volte arrivava a farsi compagno di viaggio di questi disperati in Valchiavenna, per cercare un varco di salvezza in Svizzera. Sempre con la sua inseparabile bicicletta.
Ecco, la bicicletta!
La sera del 9 febbraio 1945 don Mario, al ritorno da Verderio Inferiore, dove aveva aiutato nelle confessioni, proprio – manco a dirlo – in sella a quella sua famosa bicicletta, venne investito in pieno da un calesse: una stanga di quel mezzo gli infilzò l’inguine e lacerò il fegato. Era una notte scura, umida, nebbiosa e il conducente manco se ne accorse.
Perciò don Mario venne soccorso e portato in ospedale molto tempo dopo. L’intero paese accompagnò la sua agonia, durata ben due mesi e sopportata senza un lamento. Molti dei suoi giovani fecero la fila per donargli il sangue, ma le cure non lo salvarono. Morì il 4 aprile 1945.
Un’ esistenza breve (44 anni) , in cui aveva però realizzato il suo desiderio di una vita perfetta vissuta nell’umiltà e nel silenzio. Perché “Il bene non fa rumore – aveva scritto negli appunti presi durante gli esercizi spirituali- il rumore non fa bene”.