Un’esperienza di soglia è un’esperienza di sosta e di passaggio, di nuove intense esperienze rispetto ai percorsi precedenti e alle altre dimensioni della propria vita. Esperienze di prova, poi di preparazione, di invio verso altri percorsi. Un’esperienza di soglia interrompe le dinamiche in atto o passate, e il loro riproporsi, e ne propone e struttura di nuove, con altre persone e in ambienti diversi, dove partecipare e scoprire possibilità, autonomie, benessere.
La soglia prepara stimoli e sostegni, relazioni comunitarie, offre un contesto vivo, l’attenzione ai bisogni e ai desideri, ma non per sempre né sotto il solo segno della fruizione. Non “risolve” al suo interno tutti i bisogni e le relazioni, ad esempio non sostituisce le famiglie. È esperienza forte, continuativa per un certo periodo della vita, prende molto tempo ma non vi si esaurisce tutta la vita. Restano molti momenti condivisi con coetanei e altri adulti in realtà ed ambienti esterni.
La soglia prende molto tempo ma non prende tutta la vita
Un’esperienza di soglia certamente ha anche caratteri di un luogo di riparo per fragilità che resterebbero scosse e poco curate. Ma questa funzione di tutela verso vite fragili e difficili, che portano a volte delle debolezze irriducibili, si esprime anche nell’inserirle in contesti di pratiche sia di cura di sé, che di interazioni con persone e cose e situazioni. Su questa soglia si danno e curano accoglienze, ospitalità e incontri con parti di sé non ancora conosciute, e con altri diversi. Questo lo si fa anche pensando all’uscita, all’importanza di strutturare una originale modalità di ognuno, possibilmente ricca e diversificata, per le nuove sfide e le nuove stagioni della vita. Per quanto possibile: sentendo forti preoccupazioni su questa questione.
La soglia non è un puro punto di passaggio, è proprio uno spazio, è un tempo definito, e può essere un tempo anche un poco ampio. È uno spazio da scoprire. Sulla soglia si vive la serenità dell’essere incontrati, accolti, ospitati. Per poi passare, partire: ci vogliono delle uscite e degli inizi. C’è la necessità di delineare uno spazio “altro”, una specie di zona franca, chiamiamola così, una area di sosta operosa, nella quale sperimentare progetti, relazioni, incontri diversi da quelli sperimentati; a partire dai quali riconsiderare il già vissuto.
Sulla soglia si utilizza il tempo che serve, mettendo in gioco presenze ed esperienze che il tempo aiutano a riaprirlo. In quella esperienza di vita, in quella quotidianità ricostruita, in quel modo di usare le risorse, di pensare al proprio rapporto con l’altro, di vivere le esigenze di riconoscimento, e i propri doveri, le responsabilità. Quello che si sta vivendo in questa zona franca particolare, ha un limite: è chiaro che è una soglia. Non è una casa protetta, o un rifugio: è una soglia. Non è una casa “a risarcimento”: è una soglia. Sulla soglia si può fare l’esperienza di un senso della vita e dell’incontro con l’altro, che è sempre un “fatto di futuro”.
La soglia contrasta con i luoghi dell’immaginario paralizzato, della sola sopravvivenza, della fuga dalla realtà
La soglia contrasta e si confronta con i luoghi dell’immaginario paralizzato, della sola sopravvivenza, della fuga dalla realtà. Pensando insieme e legandosi e tessendo legami si sta e si cammina nell’incertezza. Si desidera e, a volte si sceglie. E vivendo sulla soglia si matura (un po’ di) consistenza e co-esistenza.
Soglia è margine? Sì e no. Certo la soglia vive una sua eccedenza, una sua “estraneità” a logiche di normalità. Allo stesso tempo è cammino, esplorazione, qualche volta con i tratti del rischio dell’esodo. Zambrano in diversi scritti indica che pensare, educare, curare è “prendere il rischio dell’ombra”.[1] Qui le persone che presidiano e animano una esperienza così particolare devono essere credibili. Altrimenti non riescono a stare e a far camminare su cammini aperti di esodo e di cambiamento altri. Come le giovani vite affidate e i genitori. E credibile deve tenere in sé le tre dimensioni del francese (le riprende Michel de Certeau): croyable, crédible,crédit. In italiano questi termini aprono uno spettro ampio di significati.
Questi vanno dal credere al fidarsi/essere affidabili, dal testimoniare all’aver credito, dall’essere vero all’intelligenza della visione. Il contrario, ciò che impedisce di lavorare e abitare una soglia è discredito, inaffidabilità, ingenerosità, imprevedibilità, cinismo procedurale.
Se così si riesce a stare, almeno un poco e per un po’ di tempo, allora può avvenire una silenziosa, e magari carsica e un poco nella penombra, rivoluzione del credibile. E le persone fragili e accompagnate possono vivere un poco l’essere rese possibili. Rivoluzione al cuore dello sperdimento di una convivenza che a volte, o in tante sue manifestazioni fatica o rifiuta di assumere la debolezza e la fragilità e le sue storie.
Nelle esperienze di soglia si arriva da percorsi molto diversi. Anche ogni operatore è chiamato a chiedersi: “da dove vengo?”, da quali motivazioni, approcci, percorsi di competenze, visioni e prefigurazioni? Dalle esperienze di soglia si parte lasciando sempre tragitti interrotti, lavori su di sé in parte incompiuti, prove mancate e prove ben sostenute, sviluppi imprevisti e qualche battuta d’arresto. Non si è mai “pronti” e questo è ben avvertito (a volte duramente avvertito) da chi opera tenendo per mano la disabilità grave.
La soglia segna passaggio, sospensione, ricapitolazione, e poi di nuovo ricerca, prova, riapertura. La sua traccia è comunque forte, vale per sé, ha una sua pienezza di vita, pur essendone una parte, un tratto. È radura e segnavia scoperta di tratteggi d’orizzonte e considerazione di una propria consistenza e dignità.
La soglia è come una spina nel dito
Dentro un’esperienza di soglia non si possono non vivere perturbazioni. Che non ci sono nei luoghi scontati dell’erogazione di prestazioni, o in quelli assistenziali dove “istituzionalizziamo” disagi e diversità “fastidiose”. La perturbazione viene dalla ricerca e dal gioco delle differenze, le contraddizioni non sono negate ma fatte esprimere.
Un’esperienza come quella de Il Gabbiano la perturbazione la porta anche fuori, perché svela contraddizioni e rimozioni, e le dimensioni pubbliche e sociali della sofferenza e delle esclusioni. Perché queste siano messe in discussione nelle loro logiche e nei loro valori: l’affermazione di sé, la competizione per la vittoria, il merito, il successo, l’accumulo di beni e spazi di potere come esercizio di libertà, la dignità di vita intesa come integrità, giovinezza, autosufficienza, capacità razionale, …
Una soglia è come una spina in un dito.
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Di Gaetano
Lizzola
[1] M. Zambrano, Per l’amore e per la libertà. Scritti sulla filosofia e sull’educazione, Marietti, 2021