Nel capitolo 36° dei Promessi sposi Lucia Mondella rincuora una giovane vedova, che sta guarendo lentamente dalla peste in quel lazzaretto, le cui tracce si trovano oggi poco distanti dalla Stazione Centrale di Milano, in via Lazzaretto. Sta arrivando un temporale, la giovane ne ha paura. “Paura di che? Abbiamo passato ben altro che un temporale. Chi ci ha custodite finora, ci custodirà anche adesso”.
Il contesto, oggetto del romanzo storico, è quello della peste bubbonica diffusa nell’Italia settentrionale, in Toscana e in Svizzera tra il 1629 e il 1633, che causò la morte di circa 1 milione e 100 mila persone su una popolazione complessiva di circa 4 milioni. Ma “il temporale” è anche la metafora dell’esistenza, soccorsa da una Provvidenza che veglia sulla storia degli uomini.
E’ tuttavia dubbio che oggi, al tempo del Covid, “la voce soave” di Lucia possa avere lo stesso effetto consolatorio, anche se i morti sono solo, per ora, 132mila su 60 milioni di italiani.
Ci soccorre, tuttavia, il metodo manzoniano, che è provvidenzialistico, ma non perciò meno proteso ad una spiegazione storico-razionale del fenomeno esistenziale e sociale della “paura”.
Oggi le nostre paure non nascono né solo né principalmente dal Covid. Nascono dalla nostra incertezza sul futuro dell’umanità, del pianeta, della geo-economia e della geo-politica.
Sono le paure del Terzo millennio, che si insinuano nel profondo di ciascuno di noi. Quando incominciò il Secondo, si respirò un vento simile. Ma, all’epoca, i millenaristi attendevano l’Evento escatologico, che avrebbe proiettato l’umanità verso ciò che Gioachino da Fiore alla fine del 1100 avrebbe definito la Terza età, quella dello Spirito.
Dopo i primi due cieli, il cielo dell’Antico Testamento fondato dai Patriarchi e quello del Nuovo Testamento fondato dagli Apostoli, ecco sorgere l’alba del terzo cielo… Alla sua luce, noi lasceremo infine ‘l’Egitto del secolo presente’ per entrare nella ‘strada stretta del deserto’ che dovrà condurci fino alla Gerusalemme spirituale. Il tempo dell’apertura del sesto sigillo é vicino.
Come allora, anche in questo inizio di millennio sono venute a galla teorie apocalittiche, insorgenze millenaristiche, identitarismi aggressivi, complottismi.
Oggi non vediamo nessun “terzo cielo”. Respiriamo un’aria da “fine della storia”, che non è esattamente quella ottimistica hegelo-marxiana o quella liberale alla Francis Fukuyama. Non si rischia il felice compimento, ma la fine della storia. Abbiamo paura che l’avventura umana finisca qui per mano degli uomini stessi. Stephen Hawking, un cosmologo certamente estraneo a pulsioni catastrofistiche, ha scritto, prima di morire:
Possediamo la tecnologia per distruggere il pianeta su cui viviamo, ma non abbiamo ancora sviluppato la tecnologia per sfuggire da questo pianeta”.
I punti di crisi del sistema-pianetasono troppo noti. Volendo sintetizzare, i punti di snodo sono due: la crisi di esistenza fisica, biologica, economico-sociale e politica del pianeta; la transizione in corso dall’”homo sapiens” all’”homo sapiens sapiens” o, detto in altro modo, all’ingegneria genetica e all’Intelligenza artificiale.
Dall’umano al post-umano, all’Homo Deus.
Queste paure non si possono spegnere, perché sgorgano dalla storia umana presente, sono il suo prodotto, le abbiamo generate noi. Dobbiamo solo affrontarle. Questo è il nostro compito oggi, la nostra responsabilità. San Paolo ci ha detto che “ogni attimo è carico di Grazia”. Non credo sia un’interpretazione forzata quella di sostituire “epoca” a “attimo”.
Papa Francesco ha invitato a “ascoltare, discernere e vivere la chiamata” dentro questa epoca. “La chiamata” non vale solo per i preti. Vale per i cristiani, vale per gli esseri umani, sotto ogni cielo. Cioè: il principio di responsabilità/vocazione è il motore della vita individuale e di quella pubblica. Con un’avvertenza: “rispondere di…” non può farlo Robinson Crusoe, individuo astratto. Lo fa l’individuo-persona, immerso nella storia delle relazioni e del contesto che lo ha generato. Poiché le relazioni con l’altro sono automatiche come l’aria che respiriamo, tendiamo a pensare che esse stiano in piedi da sé. Al contrario: il prossimo e gli altri sono una costruzione sociale e etica consapevole. L’umanità non può essere che un progetto autocosciente degli uomini.
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